Regia e sceneggiatura: Asghar Farhadi. Fotografia: Ali Ghazi. Montaggio: Hayedeh Safiyari. Costumi: Negar Nemati.
Interpreti: Sarina Farhadi, Amir Jadidi, Mohsen Tanabandeh, Fereshteh Sadre Orafaiy, Sahar Goldust.
Produttori: Asghar Farhadi, Olivier Père. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Francia, 2021.
GRAN PREMIO DELLA GIURIA-FESTIVAL DI CANNES 2021
Rahim Soltani ha contratto un debito che non può onorare. Per questa ragione sconta da tre anni la pena in carcere. Separato dalla moglie, che gli ha lasciato la custodia del figlio, sogna un futuro con Farkhondeh, la nuova compagna che trova accidentalmente una borsa piena d'oro. Oro provvidenziale con cui 'rimborsare' il suo creditore. Rahim pensa di venderlo ma poi decide di restituirlo con un annuncio. La legittima proprietaria si presenta, l'oro è reso e il detenuto promosso al rango di eroe virtuoso dall'amministrazione penitenziaria che decide di cavalcare la notizia, mettendo a tacere i recenti casi di suicidio in cella. Rahim diventa improvvisamente oggetto dell'attenzione dei media e del pubblico. Ma l'occasione di riabilitare il suo nome, estinguere il debito e avere una riduzione della pena, diventa al contrario il debutto di una reazione a catena dove ogni tentativo di Rahim di provare la sua buona fede gli si ritorcerà contro. Attraverso il destino di Rahim e della sua impossibile redenzione, Farhadi avvia un'implacabile meccanica che concentra tutti i difetti di un regime che ha eretto il perdono e la redenzione a virtù pubbliche e mediatiche. Come in tutti i suoi film, il protagonista è alle prese con un dilemma etico e come ogni volta il regista pratica un pessimismo morale che condanna i suoi personaggi ancora prima che i titoli comincino. Rahim Soltani non fa eccezione e si dibatte inutilmente. La sua parabola finisce dove tutto è cominciato, nella prigione da cui esce 'in licenza' disegnando la geometria sociale di un Iran ossessionato dall'integrità di facciata e esasperato da incessanti negoziazioni, amplificate dall'intervento a gamba tesa dei social network.
Eroe per un giorno e povero diavolo per sempre, il protagonista vaga per le strade della sua città in cerca di riscatto, stringendo al petto un 'certificato di merito' assegnato dalla stessa comunità che adesso è pronta a sbranarlo perché nell'ansia di fare bene, Rahim ha fatto tutto male. Tutte le menzogne e le mezze-verità finiranno per screditarlo, soprattutto agli occhi sempre umidi del suo bambino, eco del Bruno Ricci desichiano (Ladri di biciclette).
Mai così inflessibile, Farhadi non risparmia nessuno, debitori e creditori, prigionieri e carcerieri, diavoli e santi, sorprendendo lo spettatore con colpi di scena che non forzano mai la logica narrativa. E quella logica è decisamente perturbante. Proviamo un'empatia profonda per il personaggio principale, sempre sorridente e confidente nel tentativo di uscire da una situazione assurda. Ma più prova ad evadere da quella prigione a cielo aperto e più si chiude dentro, inquadrato dietro ai vetri, urtato dalla cattiva fede dei suoi interlocutori, impegnati ad abusarne o a prenderne le distanze in nome di un paese perfetto, di cui il sistema mediatico si fa eco mostruoso.Girato ad altezza d'uomo, A Hero è il film sociale perfetto che non impone nessuna morale al pubblico e dona un'idea dell'era digitale in Iran. Amir Jadidi, incredibilmente fiducioso e irrimediabilmente sconfitto, è l'eroe del titolo e di un film dove tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Ciascuno giudica in funzione dei suoi criteri (e dei suoi interessi) personali. Ancora una volta il cinema di Farhadi ci ricorda che ci sono troppe ombre nella luce per mantenere stretta la nostra versione del mondo. Sempre parziale, sempre soggettiva. Chi può arrogarsi la verità? Certamente non Asghar Farhadi che lascia l'affaire Rahim irrisolto e invita lo spettatore a prendere le parti dell'uno o dell'altro, facendolo dubitare e facendogli cambiare posto nello svolgimento della trama. Il suo talento è di nuovo quello di rendere appassionante i casi di coscienza dei suoi personaggi, il groviglio kafkiano che li lega, li oppone e li conduce sempre verso il conflitto (e lo scacco).
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