Regia e sceneggiatura: Adam McKay. Fotografia: Robert Richardson. Montaggio: Hank Corwin. Musica: Nicholas Britell. Scenografia: Kyra Friedman Curcio. Costumi: Susan Matheson.
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Timothée Chalamet, Melanie Lynskey, Jennifer Lawrence, Cate Blanchett, Meryl Streep, Jonah Hill, Chris Evans, Matthew Perry.
Produttore: Adam McKay, Jeff Waxman. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Usa, 2021.
La dottoranda in astrofisica Kate Dibiasky e il suo docente all'Università del Michigan Dr. Randall Mindy scoprono che entro sei mesi una gigantesca cometa colpirà la Terra e provocherà l'estinzione del genere umano. Allarmati riferiscono tutto alla Presidente degli Stati Uniti Janie Orlean, ma dopo essere stati snobbati e umiliati dall'amministrazione si rivolgono alla stampa e alla televisione: è l'inizio di un assurdo circo mediatico che coinvolgerà gli stessi scienziati e finirà per generare uno scontro ideologico tra allarmisti e negazionisti, ribelli e militanti filo-governativi, in un mare indistinto di dirette tv, post, tweet, reazioni social, prese in giro, opinioni a casaccio, sondaggi di gradimento, interessi delle oligarchie, calcoli scientifici non verificati, ignoranza al potere e stupidità collettiva che finisce per rendere quasi secondario l'arrivo della gigantesca cometa... Don't Look Up non è solamente il film definitivo sulla società della post-verità, sull'oscena bolla dei media e delle reti sociali, sulla gestione del potere che ormai è solo e soprattutto gestione della comunicazione, in un delirio di dichiarazioni, proiezioni, valutazioni di mercato e decisioni prese sulla base di ragioni spesso inesistenti. È anche, in una chiave amaramente paradossale e comica, un film sulla fine del più umano degli istinti, quello di sopravvivenza. Non a caso, è un film sulla fine dell'umanità dove l'umanità non pare avere alcuna intenzione di salvarsi o farsi salvare.
Nel delirio più o meno controllato allestito da Adam McKay, tra tentativi degli scienziati di convincere la politica a deviare il corso della cometa, calcoli della politica su come sfruttare l'evento in termini di consenso, ironie e sfottò di tv e giornali nei confronti dei ricercatori, guerre ideologiche tra populisti da un lato e antagonisti pro-scienza dall'altro, senza che mai una volta vengano usate le parole "repubblicano" e "democratico" (la parola "fascista" è usata una volta), a contare sono solamente le regole dei media e l'eterno presente di un discorso pubblico in cui la realtà è filtrata dai mezzi di comunicazione: per quanto scioccante e spaventosa, una notizia senza reazioni social non esiste; uno scienziato senza sex appeal non può essere creduto; un evento che non può essere commentato non può essere considerato... E cosa esiste di più definitivo dell'estinzione? Come la commenti sui social la fine del genere umano?
Come già in La grande scommessa (e con i toni grotteschi e stupidi dei due Anchorman), McKay costruisce la sua commedia degli orrori con continui commenti a lato, didascalie e battute, con un montaggio frenetico e ironico che replica l'ipertestualità dei prodotti audiovisivi nell'era di internet. L'effetto è quello di un quadro sociologico che tra uno sberleffo e una presa per i fondelli abbraccia tutta la società (americana) contemporanea e ne ha pressoché per tutti, compresi i due protagonisti interpretati da Jennifer Lawrence e Leonardo Di Caprio.
Le dosi maggiori di satira sono ovviamente per la tv generalista senza scrupoli, per la politica (ma qui è come sparare alla Croce rossa, e la presidente di Meryl Streep è un fin esagerata nell'esibita stupidità alla Trump) e per le società informatiche che pensano di regolare la vita, la morte, il presente e il futuro con gli algoritmi. Nel film il nome di fantasia della solita azienda ipertecnologica che gestisce di tutto, dagli smartphone ai missili spaziali, è Bash, ma dietro ci puoi leggere Apple, Tesla o addirittura la stessa Netflix, così come il guru invasato che la gestisce (interpretato da Mary Rylance in un ruolo che replica quello di Ready Player One) è un incrocio fra Steve Jobs e Elon Musk.
Il rischio di un tale sfogo e sfoggio di rabbia, derisione e voluta demenza è la saturazione: McKay sa esattamente come sbertucciare il modo e il mondo in cui oggi tocca lavorare (e vale per tutti, non solo per Hollywood e compagnia), ma proprio per questo la sua satira colpisce nel mucchio e al massimo elogia lo spirito del singolo individuo che può opporsi all'idiozia di massa (ma è bello che alla fine l'unico senso recuperato sia quello del gusto, con un'ultima cena dal sapore religioso e insieme laico).
Don't Look Up funziona dunque come perfetto specchio dei tempi, delle sue derive e dei suoi controsensi (nel mondo della post-verità "ogni fatto è realmente possibile", come dice lo slogan del film): è altamente probabilmente che fra qualche anno lo considereremo l'opera-simbolo dell'era in streaming.
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