Regia e Sceneggiatura: Mathieu Amalric. Fotografia: Christophe Beaucarne. Montaggio: Francois Gédigier. Scenografie: Laurent Bauder. Costumi: Caroline Spieth. Trucco: Flore Masson. Interpreti: Aurelia Petit, Arieh Worthalter, Erwan Ribard, Vicky Krieps, Sacha Ardilly, Aurèle Grzesik, Cuca Bañeres Flos, Anne-Sophie Bowen-Chatet, Juliette Benveniste, Samuel Mathieu, Produttore: Laetitia Gonzalez, Felix von Boehm Distribuzione: Movies Inspired. Origine: Francia, 2021.
Se ne va una mattina presto Clarisse. Non sappiamo dove, non sappiamo perché. Davanti la strada, dietro due figli e un marito a cui tocca trovare le parole per dire l'assenza. Marc prepara un'altra colazione e cerca un senso per aiutare i ragazzi a continuare. Lucie col suo piano, Paul con le sue domande. Clarisse guida, vuole vedere il mare mentre immagina i suoi figli crescere e Marc invecchiare. Ma niente è come appare. I dettagli si accumulano con le polaroid e i ricordi, i luoghi e i volti, le melodie e gli oggetti, confusi, riordinati e di nuovo mischiati. Forse Clarisse non è mai partita.
Le note musicali, onnipresenti, sono il filo conduttore dell'emozione, dirigono il film verso una 'montagna' di dolore, svolgono un film che ne contiene due. Due film che raccontano la stessa fuga ma nel primo una donna fugge dalla casa dove vive con suo marito e i suoi figli, nel secondo fugge la loro assenza.
Difficile venire a capo della nuova e radicale opera di Mathieu Amalric senza rivelare troppo allo spettatore. Non si tratta di twist o di rivelazioni, ma del momento in cui comprendiamo cos'è davvero Stringimi forte. L'attimo in cui un film vince sull'altro, una delle due ipotesi è una proiezione mentale la cui logica ha tuttavia una sua legittimità. Prima, le due trame se la disputano al montaggio e in un tempo opaco dove i morti vivono e i vivi sono 'assenti'. Il racconto avanza, si arresta, fa marcia indietro, raddoppiato fino al punto di non sapere chi è il fantasma dell'altro.
Come aveva già fatto con Barbara, un anti-biopic caleidoscopico che coniugava più contesti, l'autore francese realizza un altro film che si prende tutto il tempo per disegnare il suo motivo. Un cinema di frammenti il suo già all'opera in La camera blu, 'schermo' quadrato, ossessione divorante, illusione ottica, immagini come carte da giocare. Stringimi forte rinforza la nota melodrammatica e abbraccia l'assenza. Imbarcato con la sua protagonista in un tourbillon interiore, il film materializza i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue paure, l'abisso insondabile che fugge a bordo di una vettura vintage, precipitato di una vita fa e veicolo di una fuga disperata, di una ricerca tragica, di una liberazione.
Perché qualcosa è accaduto, un sisma ha mandato in frantumi il mondo di Clarisse, scandito fino a ieri da piccole cose, dalle crêpes alle dispute a colazione. Il soggetto del film è il sisma stesso che Amalric mette in forma ricomponendo progressivamente lo choc. Un'onda d'urto che ha spazzato lontano cuori, corpi, emozioni. C'erano una casa, due auto, l'estate al mare, l'inverno in montagna, c'era una famiglia di cui Clarisse era l'epicentro. Adesso, salda al volante, è erranza geografica e mentale. Ma cos'è accaduto? La morte è passata e Amalric indaga confidando nel potere del cinema e nell'intelligenza dello spettatore.
Vicky Krieps, scoperta tra le pieghe de Il filo nascosto, incarna la catastrofe intima che attraversa il suo personaggio. Diafana e terrena, ordinaria e straordinaria, ostinata e perduta, disperata e indistruttibile, qui e altrove, conduce con grazia un film di ombre e luci, di echi tra due sposi. Clarisse sussurra a Marc (Arieh Worthalter) e lui la sente.
Una trovata vertiginosa e in voce off fa dialogare la protagonista col marito assente, una sorte di telepatia che lega passato, presente e avvenire, un avvenire che non avrà mai luogo. L'attrice non forza mai le lacrime, i singhiozzi, le emozioni. La sua fragilità passa per la sua maniera di afferrare un oggetto, di ascoltare la voce di dentro, di abbandonarsi a un bicchiere come alla follia. Piena di dignità, Clarisse deve flirtare coi limiti della ragione per potersi pensare, per potersi vedere vivere negli anni che le restano. Viva, morta o folle, la sua intensità non è mai isterica e lascia il campo all'espressione di una maternità distrutta, prima della ricomposizione della sua esistenza.
A bordo di una AMC Pacer rossa del '79, che sembra disegnata per un road-movie e in risonanza fantasmatica con la Saab 900 di Drive My Car, la protagonista 'mette in scena' i suoi fantasmi, parla con sua figlia, discute con suo marito, assecondata da una regia che rappresenta quello che continua a esistere lontano dal suo sguardo. Ma tutto quello che vive sulla superficie del film passa nella sua testa. Quasi impossibile distinguere il sogno dal vero perché l'autore mostra tutto dentro una dimensione reale, anche i morti.
I fantasmi non sono stilizzati e nemmeno estetizzati, sono altrettanto reali, veri. Mathieu Amalric si conferma un grande autore, oscurato soltanto dal suo essere un grande attore. Ma quello del comédien è forse il punto osservazione migliore per nutrire il regista che vuole essere prima di tutto.
Nell'impresa lo affianca un'équipe all'altezza della sua visione che propone questa volta un trattamento originale del lutto. Un'immaginazione che dice la 'mancanza' distraendo dal dolore. La fotografia velata e attutita di Christophe Beaucarne assimila presenza e assenza, reale e immaginario, passato e presente, mescolando le temporalità, destabilizzando il racconto ma mantenendo la strada. E lungo la strada, Stringimi forte procede per associazioni di idee e di motivi, fino al 'disgelo' e alla rivelazione del mistero, fino a riconnettere un'eroina inconsolabile con la vita e con chi ama più di tutti
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