Regia: Marco Bellocchio. Sceneggiatura: Marco Bellocchio e Stefano Bises. Fotografia: Francesco Di Giacomo. Montaggio: Francesca Calvelli. Musica: Fabio Massimo Capogrosso. Costumi: Daria Calvelli.
Interpreti: Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Gabriel Montesi, Daniela Marra.
Produttore: Simone Gattoni. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Italia, 2022.
A quasi vent’anni da Buongiorno, notte, Marco Bellocchio torna, con Esterno notte, a raccontare il rapimento di Aldo Moro da parte dei terroristi delle Brigate Rosse. Lo fa in modo potente, polifonico, destabilizzante. E, a tratti, struggente. Con un affresco che sta tra allucinazione reale e quotidianità nera. Frammenti di verità e divagazioni ucroniche impossibili. Come sarebbe andata la Storia se…? Un po’ come Quentin Tarantino ha re-immaginato Sharon Tate viva alla fine di C’era una volta a… Hollywood. Esterno notte, che potrebbe anche intitolarsi C’era una volta a Roma, è un film-fiume. Ma anche una serie tv composta da sei episodi divisi in due blocchi. È stato presentato integralmente al Festival di Cannes, fuori concorso. Con dieci minuti di applausi…
Roma, marzo 1978. Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) è promotore e portavoce del cosiddetto compromesso storico tra DC e PCI. Un «patto» che dovrebbe permettere ai due principali partiti d’Italia di governare insieme senza bloccare il Paese. Il compromesso però fa sì che Moro, presidente della Democrazia Cristiana, si attiri l’inimicizia di tanti conservatori del suo partito. E, soprattutto, l’odio delle Brigate rosse. Il 16 marzo, il gruppo terroristico armato tende un agguato al presidente e alla scorta. Sopravvive solo Moro che viene rapito in uno dei capitoli più sanguinosi della nostra Storia. Attraverso flashback e flashforward assistiamo alle trattative, agli accordi impossibili (non voluti?). E alle segnalazioni da parte dei personaggi più improbabili (veggenti compresi)… La parte 1 arriva al rapimento e all’inizio della prigionia, partendo da Moro e il partito. La parte 2 parte dai terroristi e arriva alla conclusione del 9 maggio. Tra allucinazione e sonnambulismo, si intrecciano storie e Storia. Bellocchio realizza un grandioso affresco nerissimo (spesso la fotografia di Francesco Di Giacomo vira al color seppia) degli «Anni di piombo». Non a caso, il quotidiano francese Libération, osannando l’opera, ha scritto: «Bellocchio trasforma il piombo in oro». Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera, conclude così la sua recensione: «A Bellocchio interessa scavare in quella parte degli animi che è più forte della politica e delle scelte di campo (…). Quasi a volersi e volerci interrogare sul conflitto che sembra inevitabile tra il Potere e l’Amore». Marco Bellocchio, «giovane regista» di 82 anni, mette a fuoco la caricatura del potere (dello Stato e della Chiesa). Ne svela ogni ipocrisia. Sembra intercettare verità e sincerità solo nei sentimenti che legano Moro e la sua famiglia. Il resto è solo apparenza. Anche le abitudini dei brigatisti somigliano grottescamente alla routine borghese (caffelatte e biscotti al mattino, ritmi da “lavoratori”). Forse il film più anarchico, lucido e libero della nostra Storia recente. Un vero capolavoro contemporaneo. Racconta il nostro passato fosco e vischioso, riverberandosi sull’oggi.
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