Regia e Sceneggiatura: Jessica Swale. Fotografia: Laurie Rose. Montaggio: Tania Reddin. Musiche: Volker Bertelmann. Scenografia: Philippa Hart. Costumi: Claire Finlay.
Interpreti: Gemma Arterton, Gugu Mbatha-Raw, Penelope Wilton, Siàn Phillips, Tom Courtenay, Amanda Root, Dixie Egerickx.
Produttori: Tim Haslam, Jan Pace
Distribuzione: Movies Inspired. Origine: Gran Bretagna 2020.
Durata: 102’.
Alice Lamb non è sposata, vive da sola in un cottage su una scogliera nel Kent, non frequenta il vicino paese se non per lo stretto necessario a procurarsi la spesa, e non ha alcuna pietà per i bambini che le gironzolano attorno a casa, disturbando la sua concentrazione. Studia i miti e le leggende del folclore, ma, per via del suo caratteraccio, è a sua volta vittima di una serie di piccole leggende locali, che la dicono spia nazista, strega, o matta da legare. L'arrivo di Frank, un bambino sfollato per sfuggire ai bombardamenti su Londra e affidatole come ospite, buca lentamente la rigida corazza che Alice ha indossato troppo a lungo, risvegliando in lei il sentimento affettivo, insieme al ricordo di un amore impossibile.
Jessica Swale, però, ci sta solo intrigando: in realtà ha altro in serbo per noi. La favola è anzi proprio quello che desidera combattere, con le stesse energie con cui la sua protagonista combatte l'idea di magia, in materia di miraggi, spiegandone al giovane Frank le basi scientifiche. Ma la magia, a suo modo, entrerà comunque nella vita di Alice, così come l'impossibile diventerà possibile, addirittura quotidiano, alla fine del film.
Il titolo italiano, travisando il significato di quello originale, non dà soprattutto conto del tono del film; eppure è proprio il tono particolare a rappresentare il tratto più singolare e anche il limite più evidente del debutto della Swale. Summerland, infatti, è un luogo fatato, che si dice appaia nel cielo, disegnato dalle nuvole, quando qualcuno dalla terra dei morti ha necessità di parlare ai propri cari sulla terra, anche solo per recapitare un ultimo saluto. È subito chiaro, dunque, come questo piccolo racconto, ambientato in un luogo naturalmente incantato e vivacizzato dal fascino e dal talento di Gemma Arterton nel ruolo di Alice, parlerà di lutto ed elaborazione, di perdite e ritrovamenti, di amori impossibili (Alice ama una donna ma lei non vuole rinunciare alla maternità) e inaspettate seconde possibilità, abbracciando tutto il temario del melodramma, ma sforzandosi il più possibile di parlarne sottovoce, di batterne i sentieri con passo felpato, mantenendo la regola non scritta ma identitaria dell'understatement.
Certe macro coincidenze si perdonano in realtà più facilmente ai romanzi che al cinema, ma la regista e sceneggiatrice è abile nel trovare la migliore giustificazione agli eventi, e il finale arriva da sé, tanto prevedibile quanto opportuno
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