Regia: Antonie Barraud. Sceneggiatura: Héléna Klotz, Antonie Barraud . Fotografia: Gordon Spooner. Montaggio: Anita Roth. Musica: Romain Trouillet. Scenografie: Marine Michelems. Costumi: Claire Dubien. Interpreti: Virginie Efira, Quim Gutiérrez, Bruno Salomone, Jacqueline Bisset, François Rostain, Loise Benguerel, Thomas Gioira, Valérie Donzelli, Nadav Lapid, Nathalie Boutefeu.
Produttori: Cassandre Warnauts, Thibault Gillis. Distribuzione: Movies Inspired. Origine: Francia 2021
Judith Fauvet, traduttrice per organizzazioni internazionali, divide la sua vita tra la Francia e la Svizzera, tra Judith e Margot, tra il marito borghese e il giovane compagno, tra due figli adolescenti e una bambina di pochi anni. Judith o Margot, gestisce tutto alla perfezione, i viaggi come le bugie, le telefonate segrete come gli eventi mondani. Ma un giorno qualcosa si inceppa e rivela i limiti della menzogna. Le due identità, accuratamente separate, mettono in crisi la sua unicità. Niente è come appare, nemmeno Judith, nemmeno Margot. Ma questa volta non si tratta di gestire un'esistenza domestica e un'altra clandestina, il film di Antoine Barraud pratica nel genere un sottogenere più incline alla follia, quello in cui i protagonisti coniugano alla luce del sole due famiglie e due identità pubbliche appoggiate sulle sabbie mobili e i pretesti professionali. Ma mentire non è cosa da poco e la traiettoria dell'eroina, in movimento permanente, tradisce progressivamente il suo squilibrio. La vernice si crepa e l'angoscia risale la superficie, la libertà permessa dall'identità plurale diventa una trappola.
Sofisticato e discreto, il film di Barraud articola il suo soggetto interrogando con l'identità di una donna i mostri interiori. La vertiginosa ubiquità dell'eroina, illustrata con un treno che passa le frontiere, fisiche e mentali, orienta l'interpretazione dello spettatore, sorpreso e a disagio mentre prova a ricostruire un puzzle narrativo complesso. Prova a comprendere la donna al cuore dell'intrigo e a comprendere le sue motivazioni.
È un'amante romantica? Una seduttrice? Una manipolatrice? Una psicopatica? Questa identità disturbata e sempre sull'orlo del collasso, nutre il film e la sua dimensione hitchcockiana. Ma nessun evento straordinario confermerà o smentirà un profilo su un altro, rimandando nell'epilogo a un'alterità reale (quella del titolo) e allo sguardo autoriale di Nadav Lapid, regista israeliano che interpreta un falsario 'a mano libera'.
Non è la prima volta che Barraud filma altri registi - Bertrand Bonello in Les Dos rouge - dichiarando la materia del suo cinema: la tensione tra soggetto e oggetto, tra chi guarda e chi è guardato, tra attore e spettatore. In quest'ultima sequenza disorientante, l'autore spinge il film più lontano, verso lidi metafisici.
Questo personaggio che perde il controllo sulle sue identità rimanda a un'attrice che perde il controllo dei suoi ruoli. Virginie Efira compone un assolo perturbante, incarnando una figura placida che naviga a vista tra pezzi di vite ordinarie e impossibili da raccordare. La sua identità sociale va lentamente in frantumi e fa tremare lo spettatore che cerca l'origine della frattura, la ragione logica di una disfunzione che ci rammenta in fondo che nessuna identità è stabile e ognuno gioca la sua parte, più parti.
L'attrice gestisce il delirio d'ubiquità con sfumature infinitesimali, sorrisi amabili e micro esitazioni aprendo false piste sul suo volto radioso. In trappola tra due donne, due personaggi e due film, gioca il vero e il falso, il senso e il controsenso aprendo la sua eroina a tutte le interpretazioni. Sciolta o raccolta in uno chignon, la biondezza di Virginie Efira determina la sua ragione d'essere e la colloca nella galleria di icone bionde e inafferrabili di cui Bergman, Hitchcock, Antonioni, De Palma, Verhoeven, Fincher, Lynch hanno seguito le derive o il movimento di fuga.
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