Regia: Roberto Faenza. Sceneggiatura: David Gleeson, Roberto Faenza. Fotografia: Giuseppe Pignone. Montaggio: Walter Fasano Musica: Andrea Guerra. Scenografie: Francesco Frigeri. Costumi: Bojana Nikitovic. Interpreti: Laura Haddock, Edward Holcroft, Elisa Lasowski, Francesco Montanari, Jake Donald-Crookes, Lorenzo Ciamei, Sofia D'Elia, Beatrice Aiello, Marco Boriero, Ruben Buccella, Andrea Dallan, Rufus Gleave. Produttori: Simona Bellettini, Elda Ferri. Distribuzione: Altre Storie Origine: Italia, 2022
Mario ha 5 anni, un padre fascista inviato in Libia e una madre americana che non ama il regime e cerca di opporvisi. Quando la donna viene arrestata dai fascisti il bambino, che era stato affidato a una famiglia di contadini, essendo finita la somma loro consegnata, finisce con il trovarsi per strada vivendo alla giornata e non sottraendosi anche a piccoli furti. A guerra terminata in maniera del tutto inattesa ritrova la madre che lo porta con sé negli Stati Uniti in una comunità di quaccheri che si chiama "Hill of Vision". I problemi per lui non sono terminati perché il percorso di integrazione non si presenta per nulla semplice. Roberto Faenza ha un'ampia e interessante filmografia in cui, a guardare bene, i film migliori (con l'eccezione dello straordinario per intensità ed interpretazione Sostiene Pereira) sono quelli che hanno al centro vicende che vedono coinvolti bambini o adolescenti. Partendo da quel piccolo capolavoro di empatia sensibile tradotta in immagini che è Jona che visse nella balena si arriva a Un giorno questo dolore ti sarà utile passando da Alla luce del sole che è sì un film su vita e morte di don Pino Puglisi il quale però ha sacrificato la sua esistenza per sottrarre ragazzi alla 'protezione' della mafia palermitana.
Faenza torna ora sul tema delle modalità ed asperità del crescere trovando in Mario Capecchi, come accadde per Jona Oberski fisico ebreo olandese sopravvissuto alla deportazione, un protagonista a cui dover, come avvenne per quel film, "restituire qualcosa" di una infanzia e adolescenza vissute nella precarietà economica e morale più assolute.
La sceneggiatura (scritta con David Gleeson) non si sottrae alle svolte che (se in sala al Bif&st alla prima mondiale non fosse stato presente il commosso protagonista reale) uno spettatore che ha fatto dell'incredulità il suo fallace credo troverebbe impossibili e forzate. Perché a Faenza interessa mostrare e dimostrare come il rapporto con la figura materna resti fondamentale nonostante le sparizioni e le improvvise ricomparse, malgrado (o forse grazie a) la sofferenza della perdita e dell'abbandono che fa di ogni ritorno un'ondata di luce nell'intimo. Accanto, o anche oltre, a ciò ci viene presentata un'anima divisa in due costretta dai fatti a prendere dolorosa coscienza di questa condizione. Nell'Italia fascista Mario è 'il figlio dell'americana'. Nei democratici (ma non troppo) Stati Uniti è l'italiano' immigrato da dileggiare ed emarginare.
Nonostante ciò 'quel' Mario, quel bambino a cui neppure il più ottimista degli astrologi avrebbe previsto un futuro degno di attenzione, è diventato un genetista di fama mondiale al punto di ricevere un Nobel per il gene targeting che ha dato un importante contributo alla ricerca per la cura del cancro. Ora Capecchi sta compiendo ricerche sull'ansia, quella patologia che ha potuto conoscere da vicino durante la sua non facile infanzia.
In giorni come questi in cui la guerra torna a martoriare una parte di Europa un film come Hill of Vision ci ricorda che, come avrebbe potuto dire il Mario 'americano', bisogna 'never give up'. Non bisogna arrendersi mai a presagi che possono apparire solamente e ineluttabilmente infausti. Capecchi li ha debellati. Può accadere ancora. Se poi la produzione del film si chiama, come in questo caso, Jean Vigo una vigorosa battaglia dei cuscini alla maniera di Zero in condotta oltre a proporre una citazione per cinefili doc, ci fa riflettere sul fatto che la vitalità dei più piccoli è un bene prezioso. Da non disperdere mai.
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