Regia e sceneggiatura: Jafar Panahi. Fotografia: Amin Jafari. Montaggio: Amir Etminan. Scenografie: Babak Jajaie Tabrizi. Costumi: Leyla Siyahi.
Interpreti: Jafar Panahi, Mina Kavani, Naser Hashemi, Vahid Mobasheri, Bakhtiyar Panjeei, Reza Heydari, Mina Khosrovani
Produttori: Jafar Panahi. Distribuzione: Academy Two. Origine: Iran 2022.
In concorso al Festival di Venezia 2022
Un regista (Jafar Panahi) è costretto a seguire a distanza le riprese del suo film, girato a Teheran. Da una piccola casa in un paesino rurale a pochi chilometri dalla città e dal confine, Panahi dirige la sua troupe nella realizzazione di un film su una coppia di innamorati che tenta di fuggire dall’Iran. Allo stesso tempo, un’ipotetica foto scattata da Panahi nel villaggio contadino diventa la prova intangibile di un amore clandestino. Il regista segue da vicino queste due storie d’amore: in entrambi i casi, è lui a tenere le fila dei rapporti. Gli orsi non esistono è attraversato da una tensione perenne che, assumendo varie forme, cresce scena dopo scena. Nel film che il regista sta girando in città, i personaggi sono visibilmente preoccupati. Ma la situazione nel villaggio non è molto diversa: un luogo apparentemente tranquillo, legato alle tradizioni e fatto di persone semplici, si rivela ugualmente carico di conflitti. Anche se Gli orsi non esistono non può definirsi un film violento, guardandolo si ha la disturbante sensazione che basti davvero poco, anche una fotografia, per scatenare gli animi. Il film è quindi critico, ma non è privo di ironia. Panahi usa la metafora degli orsi per parlare di mentalità, di tradizioni, di regole e abitudini che, sulla base del nulla, sono in grado di generare paure reali. Panahi è il demiurgo de Gli orsi non esistono: né è il regista, lo sceneggiatore e l’attore principale. Non solo nella realtà, ma anche nella meta-narrazione. È lui che muove l’azione, sul set-verità di Teheran e nelle dinamiche del villaggio. Tuttavia, sembra che gli avvenimenti cadano addosso a Panahi: tutti si muovono, si agitano, cercano la fuga, l’amore, la felicità e la vendetta, mentre lui non fa altro che riprendere, suggerire e osservare. Sicuramente, Panahi ha voluto inserire molto della sua condizione di cineasta indipendente in un paese come l’Iran. Stoico e silenzioso, il regista indossa sempre la stessa espressione ed emette pochissime parole. La sua figura, in parte dà sicurezza, in parte appare stanca e svogliata a combattere l’ennesima battaglia. Guardando Gli orsi non esistono si ha come la sensazione che il dovere di raccontare una storia simile alle precedenti (vedi Taxi Teheran) sia maggiore della voglia di realizzare il film. Sbilanciarsi di fronte a tematiche come la migrazione, la libertà e i confini è rischioso. Tuttavia, va detto che quello che davvero si apprezza di un film come Gli orsi non esistono è il gioco narrativo: il mescolamento di cinematografico e meta-cinematografico, il parallelismo delle due storie d’amore. E alla fine il confine veramente interessante è quello, molto labile, tra finzione e realtà.
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