Regia: Cédric Klapisch. Sceneggiatura: Santiago Amigorena, Cédric Klapisch Fotografia: Alexis Kavyrchine. Montaggio: Anne-Sophie Bion. Musica: Thomas Bangalter . Scenografie Marie Cheminal. Costumi: Anne Schotte Interpreti: Marion Barbeau, Hofesh Shechter, Denis Podalydès, Muriel Robin, Pio Marmaï, François Civil, Souheila Yacoub, Mathilde Warnier , Mehdi Baki, Alexia Giordano, Marion Gautier de Charnacé.
Produttori: Bruno Levy, Cédric Klapisch Distribuzione: Bim Distribuzione. Origine: Francia, Belgio 2022.
Élise è un'étoile, ha ventisei anni, una fede salda nella danza e un fidanzato volubile. Turbata dal tradimento del suo compagno cade in palcoscenico, rovinosamente. Il referto medico è crudele e mette in pausa la sua carriera. Riposo forzato per due anni. Tradita dal suo corpo e da chi ama, è pronta a rinunciare e a seguire un'amica e il suo compagno, cuochi itineranti, in Bretagna. Insieme preparano i pasti per una maison di artisti che ospita per una stagione un coreografo israeliano (Hofesh Shechter!) e la sua compagnia. Tra legamenti e (nuovi) legami, per la ragazza si delinea un nuovo orizzonte. Un nuovo ritmo, elettrico e tribale, ancorato alla terra e al territorio. Ed è esattamente questa esultanza fisica che magnifica Cédric Klapisch, ponendo lo spettatore in posizione attiva fin dai 'primi passi'. La vita è una danza, traduzione disneyana del titolo originale e lacaniano (En corps), si apre su una lunga sequenza che avanza tra scena e quinte, senza parole e senza elementi drammatici, solo note che conducono direttamente alla protagonista, giovane étoile impegnata ne La Bayadère. Come se il regista facesse eco alla bellezza pura della disciplina prima di introdurre il suo racconto.
Dieci minuti di audacia grammaticale in cui ricorre come Degas a prospettive oblique e punti di vista decentrati, taglia le figure e i margini della scena rendendo più dinamica la struttura d'insieme dello spazio. E in quello spazio coglie la danza in volo, un attimo prima che la sua eroina precipiti dal cielo e nella disperazione. Il corpo spezzato con la caviglia. Da quel momento il film scende dal palcoscenico e dalle punte per riparare fuori porta, dentro un paesaggio rurale e orizzontale.
Quello che interessa a Klapisch è il processo di ricostruzione e il passaggio tra due mondi, la danza classica e quella contemporanea, che alcuni giudicano inconciliabili. L'autore, rinnova il suo amore per la danza, rivelato nei suoi documentari (Aurélie Dupont, l'espace d'un instant, Dire Merci), e l'affida questa volta alla fiction provando a schivare il positivismo a oltranza e facendo onore alla bellezza e all'utilità dell'arte. E per una volta la danza non è trattata attraverso il filtro della competizione esacerbata ma attraverso il piacere di chi la pratica, una vocazione ardente piuttosto che un martirio. L'incidente in ouverture non genera suspense, la questione non è la possibilità o meno di esercitare di nuovo la propria arte, ma di riapprenderla altrimenti, di ricostruirsi e di ricostruire un'altra vita.
Alternando momenti leggeri e momenti gravi, scene collettive e intervalli intimi, La vita è una danza cattura i movimenti coreografici (ed esistenziali) con una vivacità formidabile, complice un cast ispirato, Pio Marmaï, irresistibile mentre simula un suicidio in slow motion sulle note di un 'coro sacro', François Civil, Denis Podalydès, Muriel Robin, Souheila Yacoub. Al centro della scena, letteralmente, Marion Barbeau, ballerina dell'Opéra al suo debutto d'attrice. La sua silhouette sottile costruisce ponti tra classico e contemporaneo e cerca un secondo soffio per la sua eroina. Una prestazione luminosa che fa il paio con un feel-good movie sulla fragilità che si fa forza. Un invito a ritrovare i nostri contorni e a credere nella nostra capacità di rinnovarci.
Il tema della caduta e della risalita non è nuovo ma Klapisch lo assume con candore, trasmettendo allo spettatore una concezione diversa del virtuosismo, basato sulla frangibilità e lontano dal corpo glorioso e altamente performante in cui i ballerini sullo schermo sono ancora imbrigliati.
Last but not least, Cédric Klapisch lascia campo libero alla danza meno codificata e più viscerale e astratta di Hofesh Shechter, coreografo israeliano che interpreta se stesso e il suo 'gesto di fabbrica' che ha il piacere come forza motrice.
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