Regia e Sceneggiatura: Rebecca Zlotowski. Fotografia: Georges Lechaptois. Montaggio: Géraldine Mangenot. Musica: Robin Coudert. Scenografie: Katia Wyszkop Costumi: Bénédicte Mouret
Interpreti: Virginie Efira, Roschdy Zem, Victor Lefebvre, Antonia Buresi, Yamée Couture, Chiara Mastroianni, Mireille Perrier, Sébastien Pouderoux, Henri-Noël Tabary, Frederick Wiseman. Produttore: Frédéric Jouve. Distribuzione Europictures. Origine: Francia 2022.
Rachel ha una vita felice, un padre e una sorella che adora e un lavoro che ama, quello di insegnare lettere in un liceo. Il suo è in tutto e per tutto un mestiere che ha a che fare con la maieutica, espressione con la quale Platone definiva la pars costruens del metodo socratico, e che deriva da μαῖα , dal greco “levatrice” ma anche “madre”, proprio perché la maieutica si pone come strumento per “far venire alla luce” la conoscenza che è in ognuno di noi. E se la questione della maternità, come per tutte le donne, è per Rachel un pensiero con cui se non altro confrontarsi nella vita, tutto si fa urgente quando la donna inizia una relazione con Alì, uomo divorziato e con una bellissima figlia di 4 anni, Leila, con la quale Rachel inizia a costruire pian piano un rapporto. Il tempo scorre, i minuti dell’orologio biologico corrono, e sono qui scanditi dalle parole di Fredrick Wiseman nei panni del ginecologo di Rachel, che le ricorda che il suo corpo fra non molto non sarà più in grado di generare una vita. È un film molto delicato ed estremamente trasparente I figli degli altri. Forse anche perché la vicenda di Rachel racconta, in maniera un po’ camuffata, il rapporto d’amore della Zlotowski con quello che è stato per un periodo di tempo suo compagno di vita, il regista francese Jacques Audiard. Una vicenda personale quindi che però riesce a farsi universale e che ha il merito di mettere in luce con estrema onestà e gentilezza, quelle che sono questioni femminili quasi innominabili, come appunto la maternità e il corpo femminile che cambia con l’avanzare dell’età, la distanza che sempre più si pone fra la età biologica di una donna e quella sociale e ancora il pensiero, per alcune terrifico, di vivere una vita senza figli in un mondo che è anche e soprattutto un mondo di madri e di figli. E poi questioni più prettamente legate all’oggi e ai cambiamenti nelle strutture sociali, come le famiglia allargata e tutte la complessità di relazioni e rapporti che da essa derivano. E la Zlotowski affronta tutto con amore, seguendo e come rassicurando la sua protagonista e chi guarda, raccontando con grande sensibilità e naturalezza una determinata e complessa fase della vita di una donna. Che poi le donne hanno a che fare intrinsecamente col senso profondo del cambiamento, con un ciclico crearsi e distruggersi interno, con la sensazione acuta del tempo che scorre. E se tutto ciò può mettere ansia, senso di panico, paura della fine, è proprio a uno Wiseman novantaduenne che la regista affida le parole risolutrici, e che rendono il film un film a suo modo curativo: ”La vita è lunga”.
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