Nel ventennale della sua scomparsa, il genio libero di Gaber è pronto a rivivere sul grande schermo, autentico protagonista di un grande evento culturale e musicale nel panorama cinematografico.
IO, NOI E GABER, il docufilm su Giorgio Gaber, scritto e diretto da Riccardo Milani è promosso dalla Fondazione Gaber. Il docufilm è prodotto da Atomic in coproduzione con RAI Documentari e LUCE CINECITTÀ e distribuito da Lucky Red.
Regia: Riccardo Milani. Con Claudio Bisio, Ombretta Colli, Ivano Fossati, Lorenzo Jovanotti, Mogol, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Fabio Fazio. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Italia 2023
Chi è stato Giorgio Gaber, per la musica italiana ma soprattutto per noi, che magari "non ci sentiamo italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo"? È forse da questa domanda che è partito Riccardo Milani per raccontare uno dei cantautori più originali del nostro Paese, ma anche un teatrante, un filosofo, un pensatore politico e un "operatore culturale" nel senso più alto e nobile del termine.
A raccontarlo, oltre a decine di spezzoni delle sue apparizioni televisive e dei suoi spettacoli teatrali, e molteplici canzoni scritte e interpretate dal Signor G, sono tanti testimoni che l'hanno conosciuto e che a lui si sono ispirati: dalla figlia Dalia Gaberscick, al nipote Lorenzo Luporini e al suo prozio, lo storico paroliere Sandro Luporini (zio del marito di Gaberscick, Roberto) fino alla vedova Ombretta Colli, che non parla mai ma incarna il suo rimpianto.
Gaber era "un intellettuale promiscuo", come lo descrive Serra, "raffinato e popolare, di popolo e di élite". Passato dall'essere "il re del varietà popolare", che insieme ad altri tre "matti coraggiosi" - Mina, Jannacci, Celentano - aveva dato uno scossone al piccolo schermo, è poi diventato il re del teatro canzone, sempre entrando a gamba tesa negli ambiti popolare, sociale e politico.
Perché Gaber è stato immerso nel suo tempo sapendo sempre prevederne uno futuro, capace di "non farsi condizionare dalle ideologie", anche quelle che lui stesso aveva sposato, e di riconoscere "quando la merda è merda", a rischio di risultare scomodo, e di venire isolato. Un cercatore di verità con un rivelatore interno di bugie non silenziabile, e un grande musicista "che avrebbe potuto mettere in musica l'elenco del telefono", come sottolinea suo nipote.
Milani entra a fondo nell'utilizzo che faceva Gaber della parola, fondamentale quando "dentro c'è la nostra vita", e del suo "corpo scenico" che in teatro "sembrava posseduto", rendeva "la parola visibile" e si trasformava in "melodia cinetica".
Io, noi e Gaber ricorda che ogni sua canzone aveva "uno spazio di incidenza", cioè una volontà di intervenire sul reale trasformando la sua libertà in partecipazione, e che non aveva paura di entrare nel vivo del "mettere a fuoco la massificazione e proteggere l'autonomia di pensiero dal conformismo", come dice Serra, denunciando come mode certi atteggiamenti privi di autentica passione politica e definendo "polli di allevamento" i seguaci di movimenti ormai degenerati: lui, che avrebbe considerato una rivoluzione mangiarsi un'idea, e inseguiva la concretezza invece delle ideologie. Lui che, come dice Fossati, era fatto di nitidezza, di capacità di andare a fondo, di sostanza.
"La cosa è meravigliosa è che si contraddice", afferma Francesco Centorame (parlando di Gaber al presente), e Milani racconta come abbia saputo cambiare nel tempo, poiché, come diceva Gaber stesso, "la verità ferma è misticismo, il movimento è la mia storia, non la staticità".
In effetti c'è sempre stato in lui qualcosa di imprendibile, mai pacificato o conciliante, ma anche tenace in termini di resistenza umana. E Milani ci invita implicitamente a fare come dice Paolo Jannacci: a tenercelo dentro l'anima, e non lasciarlo scappare via.
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