Regia: Giorgio Diritti. Sceneggiatura: Fredo Valla, Giorgio Diritti. Fotografia: Benjamin Maier. Montaggio: Paolo Cottignola. Musiche: Marco Biscarini. Scenografia: Giancarlo Basili. Costumi: Ursula Patzak.
Interpreti: Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noémi Besedes, Cecilia Steiner, Joel Basman, Oliver Ewy. Produttori: Marco Cohen, Fabrizio Donvito. Distribuzione: 01 Distribution.
Origine: Italia, Germania, 2023.
Lubo Moser è un nomade del popolo Jenisch. Nella Confederazione Elvetica del 1939 gira di luogo in luogo esibendosi nelle piazze insieme alla moglie Mirana e ai loro bambini. Fino a quando la Seconda Guerra mondiale incombente fa sì che il governo dichiari la mobilitazione degli uomini per la difesa delle frontiere. Lubo, mentre è in servizio, viene a sapere che i figli sono stati prelevati e portati in un istituto mentre la moglie, nel tentativo di proteggerli, ha trovato la morte. Da quel momento il senso della vita per lui consiste nel conseguire un duplice obiettivo: ritrovarli e vendicarsi. Diritti trova in un'azione di pulizia etnica, che si stenterebbe a credere che sia accaduta in Svizzera, l'occasione per delineare il personaggio più complesso della sua filmografia. Per comprendere a fondo il lavoro compiuto dal regista, che si è basato sul romanzo di Mario Cavatore "Il seminatore", è necessario avere delle informazioni di base. Gli Jenisch sono, dopo i Rom e i Sinti, il terzo popolo nomade europeo. Di origine germanica hanno una loro lingua e sono stati definiti nel passato, in modo spregiativo, gli zingari bianchi.
In Svizzera, negli anni in cui è collocata la vicenda, era attivo lo "Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse", il Programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada il cui scopo era di sottrarre i minori alle famiglie Jenisch impedendone la riproduzione al fine di annullarne la presenza sul territorio.
Diritti decide di affrontare questa materia scottante avvicinandola dalla parte opposta. Non viviamo le sofferenze imposte a bambini e bambine ma seguiamo la lucida odissea di un padre che si vede strappare l'intero mondo degli affetti da quella stessa istituzione, lo Stato, che gli chiede di prestare la sua opera in divisa a difesa dei confini. È in questa aberrante contraddizione (che nell'Italia fascista, dopo la proclamazione delle leggi in difesa della razza, vissero gli ebrei che avevano servito la patria nella prima guerra mondiale) che l'uomo vivace e creativo, che percorreva strade e piazze con il suo carro trainato da cavalli, si trasforma. La sua nemesi individuale viene condotta con estremo rigore e Franz Rogowski dà corpo, voce e inflessioni a un personaggio che la camera scruta seguendone e assecondandone l'azione.
Se lo Stato vuole estinguere il suo popolo impedendone la riproduzione Lubo agirà in direzione esattamente contraria e sottilmente acuta. A un certo punto, una volta divenuto ricco mercante di preziosi, lo vediamo aggiungere un'annotazione su un taccuino. La memoria corre a tutt'altri tempi e a ben diversa temperie culturale: al catalogo del Don Giovanni di Mozart. I melomani sicuramente ricordano: "In Italia seicentocinquanta, in Alemagna duecento e trentuna; cento in Francia, in Turchia novantuna: ma in Ispagna son già mille e tre". Erano le conquiste del protagonista narrate dal servitore Leporello. Qui l'elenco è decisamente più ridotto e si concentra su una sola nazione. Perché l'obiettivo di Lubo è chiaro: se lo Stato vuole impedire al suo popolo di riprodursi lui ingraviderà quante più donne possibile mettendo al mondo quelli che dai suoi persecutori saranno considerati dei bastardi.
Diritti ci racconta un seduttore suo malgrado che, al contempo, non smette mai la ricerca dei propri figli anche se gli anni scorrono. Su tre di queste relazioni si sofferma e, in particolare, su quella di una cameriera d'albergo di origine italiana in cui Lubo vede qualcosa di più di un corpo che possa tenere viva la sua vendetta.
Con una durata che diviene necessaria per mostrare la progressione di un progetto finalizzato a ristabilire almeno un simulacro di giustizia, Diritti, con questo film, ci invita a stare in guardia in questi tempi difficili. Lo fa con una coproduzione che vede coinvolte Italia e Svizzera ricordandoci che non solo nelle dittature le aberrazioni possono insinuarsi nel tessuto sociale fino a divenire parte integrante della legislazione statale, ma anche in democrazie solide (quella elvetica lo era e lo è) il loro seme può attecchire e svilupparsi con estrema pericolosità. In molti Paesi campagne che si ammantano di un manipolato concetto di difesa della patria non sono purtroppo solo un ricordo del passato.
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