Regia: Michael Cimino. Sceneggiatura: Louis Garfinkle, Michael Cimino. Fotografia: Vilmos Zsigmond. Montaggio: Peter Zinner. Scenografia: Kim Swados. Musica: William McCaughey. Interpreti: Christopher Walken, Robert De Niro, Meryl Streep, John Savage, John Cazale, George Dzundza, Chuck Aspegren, Shirley Stoler, Rutanya Alda, Pierre Segui, Mady Kaplan, Amy Wright, Mary Ann Haenel. Produttori: John Peverall, Michael Cimino. Distribuzione: Lucky Red. Origine: U.S.A., 1978.
Premio Oscar 1979 – Miglior Film
Premio Oscar 1979 – Miglior Regia
Premio Oscar 1979 – Miglior Attore non Protagonista
Premio Oscar 1979 – Miglior Montaggio
Premio Oscar 1979 – Miglior Suono
Golden Globes 1979 – Miglior Regia
Clairton, Pennsylvania. Tre amici sono in procinto di partire per il Vietnam lasciando il loro lavoro nell'acciaieria locale. Sono Mike, esperto cacciatore di cervi, Nick, innamorato di Linda che interessa anche a Mike e Steven che, prima di partire, sposa Angela, che è incinta ma non di lui. Il Vietnam sarà per loro un'esperienza estrema che li segnerà in vari modi. Il film pluripremiato di Michael Cimino rappresenta il vertice della sua cinematografia.
Ming Junction è una cittadina industriale dell'Ohio trasformata in Clairton nella finzione cinematografica ma che per Michael Cimino ha rappresentato un luogo in cui, letteralmente, immergere soprattutto la prima lunga parte del film. Se si osserva la prima scena, con il procedere di un camion sotto un ponte, ci si accorge come già una sola inquadratura (che vedremo poi ripetuta) acquisisca il significato che il regista voleva darle. Si tratta di una sorta di confine al di là del quale si incontra una comunità che ruota attorno a una fabbrica (si veda la sequenza che segue).
Si tratta di una comunità con una forte presenza di persone di provenienza dalla Russia e ancora oggi si trovano comparse che hanno offerto la loro autenticità al film. Cimino vedeva delle affinità tra russi e americani tanto da avere dato al personaggio affidato a De Niro il cognome Vronsky (che è quello del conte di cui si innamora Anna Karenina).
Quanto sopra per sottolineare come si tratti di un film che, come affermò Cimino alla consegna degli Oscar, non vuole fare storia o documentazione ma che si avvale delle esperienze di vita vissuta. È ciò che Quentin Tarantino vede come determinante, ritenendo che non si tratti tanto di un film sul Vietnam quanto piuttosto della radiografia di un nucleo di persone comuni trasformate dalla presenza di una guerra che si svolge altrove.
All'epoca non fu accolto così da chi riteneva che si trattasse di un'opera fondamentalmente pro Usa, grazie anche alla descrizione dei vietnamiti come belve feroci. Entrambe le letture hanno elementi che giocano in loro favore. Le sequenze della roulette russa restano impresse in maniera indelebile nel ricordo di chi lo vide allora e lo resteranno in chiunque abbia l'opportunità di assistervi. Non solo per l'interpretazione degli attori ma per il modo in cui sono girate, montate, sonorizzate.
Certo i vietnamiti vi sono rappresentati come esseri inumani (era già avvenuto con il lancio della bomba nel rifugio di donne e bambini) ma forse era necessario per raggiungere un altro obiettivo: quello di una riflessione sui segni che la guerra, qualsiasi guerra, lascia nell'essere umano. C'è chi muore, chi viene mutilato, chi torna a casa rimanendo però con la testa nel luogo in cui il suo status di essere umano è stato messo a dura prova.
Cimino ha dovuto lottare sequenza dopo sequenza (non solo per quelle violente) con i produttori fingendo di tagliare ciò che per loro era disturbante salvo poi reinserirlo a loro insaputa. Si tratta di un film che mette alla prova lo spettatore così come mise alla prova, sia fisicamente che emotivamente, gli interpreti (De Niro dixit).
Il finale, che non anticipiamo per chi vedesse il film per la prima volta, può essere letto con la lucidità della distanza. Quel canto, e la tonalità con cui viene espresso, può ancora essere considerato come un'affermazione nazionalistica ma può anche, visto il contesto in cui si colloca, essere visto come un malinconico tentativo di auto convincimento patriottico smentito però da quanto accaduto.
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