Regia: William Oldroyd. Sceneggiatura: Luke Goebel, Erin Cressida Wilson. Fotografia: Ari Wegner. Montaggio: Nick Emerson. Scenografia: Michele Munoz. Musica: Richard Reed Parry. Costumi: Olga Mill. Interpreti: Thomasin McKenzie, Anne Hathaway, Shea Whigham, Marin Ireland, Owen Teague, Siobhan Fallon Hogan, Jefferson White, Sam Nivola, William Hill (II). Produttori: Julia Oh, Luke Goebel. Distribuzione: Lucky Red. Origine: U.S.A., 2023.
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Nella Boston degli anni '60 la giovane Eileen conduce una vita monotona lavorando come segretaria in un riformatorio minorile e prendendosi cura di Jim, il padre alcolista. Le cose cambiano con l'arrivo di Rebecca, la nuova psicologa del carcere. Brillante e disinvolta, Rebecca esercita un fascino magnetico su Eileen, che rimane immediatamente attratta dalla sua eleganza. La loro amicizia prende però una piega pericolosa quando Rebecca le rivela un oscuro segreto. Tratto dall'omonimo romanzo di Ottessa Moshfegh (Mondadori), Eileen esplora le prigioni esistenziali in cui vive la protagonista, interpretata da una sempre più sorprendente Thomasin McKenzie, prima di un'emancipazione radicale e definitiva. Per il suo secondo film, il regista William Oldroyd decide ancora una volta di affidarsi a un romanzo d'epoca, "Eileen" della statunitense Ottessa Moshfegh ambientato negli anni '60 mentre nel 2016, per Lady Macbeth, aveva messo in scena "Lady Macbeth del Distretto di Mcensk" dello scrittore russo Nikolaj Leskov ambientato a fine '800. Per Eileen, complice la direttrice della fotografia Ari Wegner, il regista britannico fa qualcosa di più, scegliendo la palette dei colori sbiaditi, la pasta che richiama quella della pellicola, il font dei titoli di testa e di coda e il logo d'epoca di Universal, come se fosse un 'vero' film degli anni '60.
Un po' come è stato capace di fare, ispirandosi alla decade precedente, Todd Haynes con Lontano dal paradiso e, soprattutto, con Carol che, come Eileen, ruota tutto intorno alla complicità d'una coppia di donne. Ma il film di William Oldroyd, con la neozelandese Thomasin McKenzie, l'interprete di Jojo Rabbit e di Ultima notte a Soho (anche qui una fascinazione tutta femminile), sempre più sorprendente nella sua recitazione 'naturale' e 'asciugata' da qualsiasi gigionismo, e Anne Hathaway capace di riempire lo schermo con un immaginario attoriale da femme fatale (il suo nome, Rebecca, è già tutto un programma), è molto più interessato a esplorare i lati oscuri della mente di Eileen, a prescindere dalle connotazioni sessuali soltanto evocate.
Le due prigioni esistenziali in cui è rinchiusa la protagonista, quella lavorativa come segretaria in un penitenziario minorile, mera estensione di quella casalinga con il padre ex poliziotto alcolizzato con la pistola come feticcio esistenziale (il grande caratterista Shea Whigham), richiamano alla lontana il genere carcerario che, d'un tratto e in modo spiazzante, si trasforma in un noir dai contorni malati, quasi pulp, come nel sottoscala di Pulp Fiction di Tarantino.
È proprio la costruzione psicologica della protagonista che vuole somigliare, quasi sostituirsi, alla bionda e hitchcockiana Rebecca, che rappresenta tutto ciò che lei non è, divenuta alla fine sua, letterale, partner in crime, a essere la parte più interessante del film che può solo restituire dei lampi della scrittura di Ottessa Moshfegh, ricca di minuziose descrizioni del rapporto di Eileen con il suo corpo e dei peculiari comportamenti non solo sessuali (la neve utilizzata per spegnere i bollori provocati dalla visione di nascosto di due amanti in auto) ma anche alimentari (le caramelle solo ciucciate).
Gli strani giri della sua mente, che vagheggia una liberazione sessuale e personale, sono rappresentati attraverso improvvisi scoppi di violenza solo immaginata da una donna che sogna di uscire dalla gabbia in cui è chiusa attraverso una atto estremo e radicale che però la confinerà, ancora una volta, nella sua condizione triste, solitaria y final.
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