Regia: Margherita Buy. Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Margherita Buy. Fotografia: Giovanni Canevari. Montaggio: Francesca Calvelli.
Musiche: Pasquale Catalano. Interpreti: Margherita Buy, Anna Bonaiuto, Giulia Michelini, Euridice Axen, Francesco Colella, Roberto De Francesco, Maurizio Donadoni, Pietro Ragusa, Vanessa Compagnucci, Caterina De Angelis, Elena Sofia Ricci. Produttori: Simone Gattoni, Doriana Leondeff. Distribuzione: Fandango. Origine: Italia, 2023.
Anna B. è un'attrice con una carriera avviata, un film da girare in Corea e una dannata paura di volare. L'aviofobia, ereditata dal padre come una malattia, ha condizionato la sua vita, la relazione con la figlia che vuole volare a Stanford e con la sua agente che vuole 'spedirla' oltre i confini della fiction nazionale. Abortito l'ultimo volo, (si) è costretta a terra e ai piccoli compromessi delle cose terrene. Ma capirà molto presto che giù dallo schermo non ci sono controfigure e qualche volta tocca buttarsi. Decide allora di iscriversi a un corso per aggirare le sue strategie di evitamento. Uno stage antistress per accendere i motori e finalmente decollare.
In ogni film è possibile reperire quella che potremmo definire "la sequenza di DNA", una successione di informazioni che fa luce su un'opera attraverso le sue fonti d'ispirazione, i suoi modelli. Quelli di Volare, debutto alla regia di Margherita Buy, affondano nell'immaginario cinematografico di Carlo Verdone (Maledetto il giorno che ti ho incontrato) e di Giuseppe Piccioni (Fuori dal mondo), di Ferzan Özpetek (Le fate ignoranti) e di Nanni Moretti (Mia madre), ma l'evidenza più flagrante è rintracciabile nelle performance di Buy. Una partitura di gesti che la rende in maniera provocatoria più autrice dei suoi film dei suoi autori.
Questa mescolanza di riferimenti è a immagine di una sceneggiatura che identifica il nocciolo indistruttibile di un'attrice che attraversa il cinema italiano come un fiume tranquillo, qualche volta tormentato, a seconda dell'umore.
Volare, commedia senza ali "felice di stare quaggiù", è quello che resta per sempre, intatto e identico, di Margherita Buy. L'espressione genica da cui tutto riparte, la matrice della sua creazione. Va al cuore dei suoi personaggi l'attrice, mettendosi in scena con un nome che fa eco a Zavattini (Umberto D) e rima con una parabola esistenziale sbilanciata dalla parte del sorriso.
Per la sua prima volta da regista, Margherita Buy non resiste alla tentazione di raccontare quello che conosce meglio, 'quella' che conosce meglio. Nei passi avanti della sua eroina ci sono evidentemente i suoi, c'è una donna che ride dei suoi abbagli, consapevole che affermare i propri difetti è ancora il modo migliore di attenuarli.
Musa e presenza luminosa degli autori che invita idealmente 'a tavola', soltanto Giuseppe Piccioni fa presenza fisica, rompe indugi e camicia di forza per farsi autrice del suo 'gioco' pieno di pudore, humour e una sollecitudine che sembra infinita. La maniera 'in apprensione' di Margherita Buy è qualcosa che vorremmo abbracciare e confortare e di cui non potremmo mai fare a meno, è la firma di questa silhouette bionda che sembra sempre altrove.
I suoi personaggi non sono mai totalmente integrati nel mondo che li circonda, fissano un punto da qualche parte, presenti senza esserlo del tutto. Sotto la pelle opalina, incarnato altamente cinegenico, non sono mai pienamente soddisfatti di sé. Sempre un po' naufraghi, sempre sul punto di perdersi o di precipitare in sogno.
L'avanzare di Margherita nei film è un fraseggio minimalista, le sue eroine si sentono inadeguate rispetto agli standard di efficienza richiesti dalle norme della vita sociale, e questo sentimento, persistente nella sua filmografia, si incarna questa volta nello sguardo.
Buy dirige Buy in un ritratto che mostra e parla di lei. Da vicino, molto vicino. Ancorata a terra, Anna B. vorrebbe volare ma inciampa sulla vita e su un copione che decripta brillantemente la complessità che la abita. Fuori dal mondo o dentro spazi bianchi, Margherita Buy sembra cercare e poi trovare la nota giusta, non nel senso della verosimiglianza o del naturalismo, ma nel senso di ciò di cui la scena ha veramente bisogno per raggiungere il suo equilibro e installare la posta in gioco.
Sempre sull'orlo di una crisi di nervi o di un precipizio, suscita ancora una volta la meraviglia di vedere un personaggio fare della sua timidezza la chiave della sua riuscita, rivelandone il potenziale burlesco e la svagata sincerità.
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