Regia: Pablo Larrain. Sceneggiatura: Steven Knight. Fotografia: Edward Lachman. Montaggio: Sofía Subercaseaux. Scenografia: Sandro Piccarozzi. Costumi: Massimo Cantini Parrini. Trucco: Andrea Pirchner. Interpreti: Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Haluk Bilginer, Kodi Smit-McPhee, Valeria Golino, Jeremy Wheeler, Rebecka Johnston.
Produttori: Jonas Dornbach, Lorenzo Mieli. Distribuzione: 01 Distribution. Origine: Germania, U.S.A., 2024.
Il 16 settembre 1977 Maria Callas muore a 53 anni nel suo appartamento di Parigi, dove viveva sola con l'unica compagnia dei fidatissimi Ferruccio, autista e maggiordomo, e Bruna, la domestica. Nella settimana precedente alla morte, e a più di quattro anni dall'ultima performance, la straordinaria soprano greco-statunitense fa i conti con il peso della sua fama, con il ricordo ancora forte del compagno Aristotele Onassis e, forse, con un ultimo tentativo di tornare a calcare i palcoscenici dell'opera, pur indebolita e con una voce nella quale lei per prima non riconosce più il timbro de "la Callas" e delle sue indimenticabili interpretazioni.
Chissà se quella di Pablo Larraín ha sempre voluto essere una trilogia, o se i suoi ritratti di icone femminili del ventesimo secolo - colte sul precipizio della tragedia in una perenne lotta tra identità e aspettative esterne - si sono semplicemente affastellati uno sull'altro come dei bellissimi misteri insolubili. Fatto sta che, dopo aver visitato Jacqueline Kennedy nei drammatici momenti successivi all'assassinio del presidente suo marito, e Diana Spencer prigioniera in una casa degli orrori reali, il regista cileno aggiunge un'artista al gruppo narrando con eleganza e riserbo degli ultimi giorni di una Maria Callas brillantemente interpretata da Angelina Jolie.
Proprio la diva americana sembra quasi risolvere - nei panni di un'icona globale come la più celebre delle cantanti liriche - il grande equivoco della sua carriera, lei stessa troppo icona per essere anche attrice, condannata da un magnetismo regale a trovarsi in perpetuo eccesso dei personaggi "normali".
Con una vita alle spalle e un successo già incastonato nella storia, Maria Callas è in quell'ultima settimana parigina un puro simbolo, che chiude gli occhi e vede il teatro, che va al ristorante per essere ammirata ma torna a casa per sentirsi amata dai suoi due protettori (Favino e Rohrwacher, di delizioso supporto). Jolie ne prende le redini con agio, canta in un'unione di voci e come tema principale sceglie la ricerca di controllo: della sua legacy come della sua privacy, delle sue emozioni e delle sue fragilità; soprattutto, del suo gran finale.
Più di ogni altra cosa il film è uno studio su come si scriva, e prima ancora si pensi, una conclusione; il senso di una fine, come in Frank Kermode, è un istinto che si applica bene tanto al terzo atto della Callas quanto a Larraín e alla sua tribù di donne a cui il mondo non smette di chiedere conto.
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