Regia: Francis Ford Coppola. Fotografia: Vittorio Storaro. Montaggio: Richard Marks. Musica: Carmine Coppola. Scenografia: George R. Nelson. Costumi: Charles E. James. Interpreti: Marlon Brando, Martin Sheen, Robert Duvall, Frederic Forrest, Sam Bottoms, Laurence Fishburne, Albert Hall, Harrison Ford, Dennis Hopper, Francis Ford Coppola, Vittorio Storaro. Produttore: Fred Ross. Distribuzione: Titanus. Usa, 1979.
Premi Oscar 1980: Miglior Fotografia, Miglior Suono
Golden Globes 1980: Miglior Regia, Miglior Attore non Protagonista
Festival di Cannes 1979: Miglior Film
David di Donatello 1980: Miglior Film Straniero.
Sinossi
In Vietnam, durante il terzo anno di guerra, il capitano Willard viene inviato ai confini della Cambogia per una missione segreta e delicatissima: dovrà uccidere il colonnello Kurtz che, impazzito, sta combattendo una sua guerra privata. Willard risale un fiume e si trova a percorrere tutti i gironi dell'inferno. I suoi compagni di viaggio sono degli squinternati. Quasi nulla è comprensibile: gli attacchi con gli elicotteri al ritmo di Wagner, un ufficiale che fa surf sotto i bombardamenti, battaglie all'insegna del "napalm", che rendono la scena simile a quella di una Disneyland allucinata. Trova Kurtz-Brando in un incontro che il regista carica con toni epici e misteriosi: Brando, monumento più che mai, fotografato nella penombra, sembra qualcosa di più o di meno di un essere umano.
Recensione
“…L’orizzonte era sbarrato verso il largo da un nero banco di nubi, e quella tranquilla corrente, che conduceva ai più remoti confini della terra, scorreva via fosca sotto un cielo aggrondato; e pareva conducessero entro il cuore di una tenebra immensa.” È un brano di Cuore di tenebra, il libro di Joseph Conrad a cui Coppola ha pensato per la sua Apocalisse, rendendo per immagini l’epico racconto di una sconfitta, quella americana in Vietnam che, come per lo scrittore inglese nel romanzo, travalica ogni dramma del reale per inoltrarsi nell’ignoto e incontrare l’orrore. Un brano di inizio o di fine? Ma inizio e fine possono scambiarsi, nel male, cioè annullare il tempo? E il misterioso Kurtz, che il protagonista Willard deve eliminare, sta davvero combattendo una guerra propria o rappresenta invece l’universale, inconscia vocazione per la violenza più anarchica e militaresca? Il film comincia con un ebbro risveglio accompagnato dalla voce di Jim Morrison e dall’”equivoco” di un rumore di pale: il ventilatore a soffitto che diventa quello degli elicotteri da guerra. Dal Mekong, fra rive minacciose (è legittimo ricordare Aguirre furore di Dio di Werner Herzog) l’azione cambia ritmo, raccoglie episodi assurdi e fatti raccapriccianti fino a maturare una summa di generi – da quello classico di guerra fino all’esotico e addirittura biblico-mitologico – attraverso cui l’immaginario agisce sullo spettatore con spiazzamenti continui. Sempre alla ricerca di Kurtz, che Willard troverà rinchiuso in ombre barbariche.
Serge Daney ha scritto di un viaggio dell’imperialista e del colonialista in se stesso, perché Willard, alla fine dei conti, dà la caccia a un mostro che ha la sua stessa origine, appartiene alla stessa razza e alla stessa ideologia militare.
Si esce dalla sala con la convinzione di avere assistito a uno spettacolo epocale, a un kolossal tormentato e talvolta sgradevole (si pensi al bombardamento con gli elicotteri al suono della Cavalcata delle Valchirie di Wagner) ma, forse, con qualche sospetto di compiacenza: orrore veritiero o spettacolo dell’orrore? Dal canto mio preferirei considerare Apocalypse now un’impresa filmica che chiama in causa la tragedia vissuta dall’autore come da milioni di americani, cioè nel segno e con le immagini di un inevitabile caos morale. Uno specchio deformante, insomma, entro cui si possono cogliere il senso maligno, il disorientamento e il riflesso di questi nello stile. Prova ne sia il grave disagio col quale Coppola visse la propria opera: una interminabile lavorazione, tre finali diversi l’ultimo dei quali fissato non troppi anni fa,
Da tenere presente che la fotografia meritò l’Oscar a Vittorio Storaro e il film, ex-aequo con Il tamburo di latta di Volker Schlondorf, ebbe la Palma d’oro a Cannes.
Tullio Masoni
(Critico cinematografico)
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