Regia: Paolo Strippoli. Sceneggiatura: Jacopo Del Giudice, Milo Tassone. Fotografia: Cristiano Di Nicola. Montaggio: Federico Palmerini. Scenografia: Marcello Di Carlo. Musica: Federico Bisozzi. Costumi: Susanna Mastroianni. Interpreti: Michele Riondino, Giulio Feltri, Paolo Pierobon, Romana Maggiora Vergano, Sergio Romano, Anna Bellato, Sandra Toffolatti, Gabriele Benedetti, Roberto Citran. Produttori: Domenico Procacci, Ines Vasiljevic. Distribuzione: Vision Distribution. Origine: Italia, Slovenia 2025.
Il nuovo insegnante di educazione fisica, Sergio Rossetti, arriva a Remis, un paesino nascosto in una valle isolata tra le montagne. Lì trova i suoi abitanti tutti insolitamente felici. Grazie all'incontro con Michela che lavora nella locanda del paese, il professore scopre che, dietro questa apparente serenità, si cela un inquietante rituale: una notte a settimana, gli abitanti si radunano per abbracciare Matteo Corbin, un adolescente capace di assorbire il dolore degli altri. Il tentativo di Sergio di salvare il giovane risveglierà il lato più oscuro di colui che tutti chiamano l'angelo di Remis. Paolo Strippoli, dopo Piove, si ritrova perfettamente a suo agio nel cinema di genere e costruisce un intenso racconto di crescita personale portandolo fino alle sue estreme conseguenze.
Dopo A Classic Horror Story, diretto insieme a Roberto De Feo nel 2021, e l'esordio di Piove nel 2022, Paolo Strippoli è riuscito a portare a compimento, nel giro di pochi mesi, altri due progetti che aveva scritto da tempo e che si muovono sempre all'interno del genere del thriller psicologico - è il caso di L'estranea ancora al montaggio - magari venato da tinte horror come questo La valle dei sorrisi che conferma lo straordinario talento del giovane regista pugliese.
La vicenda di un paese che si stringe, letteralmente, intorno al corpo di un adolescente che credono una specie di santo, suo malgrado, capace di incamerare il loro dolore, non senza spiacevoli conseguenze fisiche, restituendogli i sorrisi, vive di una messa in scena precisa ed efficace nel descrivere la provincia italiana.
Nell'idillio di una società di montagna, chiusa e autarchica, che ha trovato la felicità allontanando il dolore mettendosi in fila la sera per abbracciare il giovane Matteo, ecco che arriva l'elemento esterno, dirompente, impersonato dall'insegnante, pure sui generis, Sergio Rossetti con la caratterizzazione, tra lo stupito e l'arrabbiato, di Michele Riondino che arriva a Remis con un trauma profondo ancora non elaborato.
La sceneggiatura, scritta dal regista con Jacopo Del Giudice e Milo Tassone, cesella la storia prendendosi tutto il suo tempo e presentando ogni singolo personaggio con il dovuto approfondimento, quasi da singoli spin-off (per esempio il ruolo della locandiera interpretato da Romana Maggiora Vergano), per far entrare piano piano lo spettatore in un mondo ambiguo e inquietante, premendo l'acceleratore nell'ultima parte del film, eccessiva (evviva!) ed esplosiva.
La sceneggiatura si spinge oltre, introducendo elementi queer del protagonista, lavorando sul rapporto padre-figlio, problematizzando il ruolo del prete del Paese, interpretato splendidamente e con la giusta dose di orrore da Roberto Citran, che gestisce il rituale degli abbracci serali a cui il giovane Sergio inizia a essere sempre più insofferente, non solo perché lo svuota fisicamente oltre che essere sovrastato, anche violentemente, dalla folla (viene da pensare a Gesù sopraffatto dalle richieste dopo aver miracolato il lebbroso tanto che, come è scritto nel Vangelo, «non poteva più entrare pubblicamente in una città»). Il suo è un corpo sacrificale ma è anche quello di un ragazzo nel suo momento più vivo, quello dell'adolescenza, le cui pulsioni e attitudini naturali vengono risvegliate dalla figura dell'insegnante.
Questa continua tensione tra naturale e soprannaturale, tra sacro e profano, tra padri putativi e religiosi, porta il livello del racconto a toccare questi temi con una problematicità che non si riscontra facilmente in un 'classico' film italiano. Ancora una volta, dopo Piove, il regista sceglie di raccontare i temi della famiglia - in questo caso di una famiglia allargata a un'intera comunità, cosa che la rende ancora più inquietante - scandagliando in profondità le sue ipocrisie e aberrazioni grazie all'utilizzo del genere cinematografico che però non è un lasciapassare (ricordiamo che il primo divieto ai minori di 14 anni di Piove fu poi alzato, dalla commissione ministeriale preposta, a 18 anni per tornare a 14 in seguito al ricorso al Tar dai produttori).
Strippoli dirige il suo secondo film con sicurezza e con originalità, oltre che con una grande capacità di dirigere gli attori (dopo averli scelti sapientemente), perché gli echi dell'universo narrativo di Stephen King o visivo di film come Midsommar, rimangono solo tali.
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