Come spesso succede nel nostro paese, il titolo italiano dell’opera anche stavolta non rispecchia a pieno quello originale, e a risentirne è il significato della pellicola. Il titolo originale di “Un tocco di zenzero” (scelta, tutto sommato, simpatica e accattivante) è infatti “Politiki kouzina”, che, a seconda di dove viene messo l’accento sulla prima parola, significa sia “cucina di Istanbul” che “cucina politica”. Questo doppio significato è piuttosto importante per comprendere la storia e la morale del bel film di Tassos Boulmetis. La pellicola narra infatti la storia autobiografica del regista, che, come il protagonista Fanis (un bravo e affascinante Georges Corraface), è un greco nato a Istanbul e costretto, da bambino, a trasferirsi in Grecia con la famiglia dopo i tumulti del 1964. La storia di Fanis è uguale a quella di tanti deportati di famiglia greca che dovettero lasciare la Turchia, abbandonando le loro radici e cambiando completamente vita. La trama si divide essenzialmente in tre parti, esattamente come le portate di un pasto completo: gli antipasti, cioè l’infanzia di Fanis e il rapporto con il nonno droghiere, un uomo saggio che usa le spezie per descrivere i rapporti umani, e l’amicizia con la bambina turca Saime; il piatto principale, cioè la giovinezza e la vita adulta di Fanis, con il suo lavoro come cuoco in un bordello greco e poi la vita come professore universitario di astrofisica da adulto; e il dessert, vale a dire il ritorno dopo 30 anni di Fanis in Turchia e il rincontro con la bella Saime, ora sposata e madre. “Un tocco di zenzero” è un film che parla dei rituali all’interno di una famiglia greca, delle loro tradizioni culinarie e dell’interferenza della politica nelle loro vite (da qui il doppio significato del titolo). È un film sul cibo e sul cucinare, ma non solo nel senso letterale del termine, ma anche nel significato di unione e di relazione fra le persone, fra gli stati, fra le nazioni. È un film che parla di una comunità ristretta (quella dei greci che vivevano in Turchia) ma che racconta anche sentimenti comuni e universali, capaci di arrivare a toccare il cuore di qualunque pubblico. La sceneggiatura, scritta molto bene dallo stesso regista, evita con maestria i classici cliché nei dialoghi e nel tratteggiare i personaggi, in modo da rendere l’opera divertente e drammatica allo stesso tempo. L’immagine grigia di Istanbul (ricreata al computer nelle varie fasi della sua storia recente) non è stata inoltre semplicemente una scelta estetica ma anche contenutistica, perché ha a che vedere col conflitto attuale della società turca, cioè il voler essere europei rimanendo comunque orientali. E anche il finale del film è (opportunamente e intelligentemente) politico piuttosto che felice. L’unica nota di speranza è lo sguardo della bambina verso il protagonista, simbolo delle nuove generazioni di turchi che rivolgono la loro attenzione verso l’Occidente. Si tratta senz’altro di una pellicola notevole, sia per i temi trattati con leggerezza e commozione, sia per la presenza di bravi attori (tutti, tranne forse il protagonista, sconosciuti qui da noi) e di una sceneggiatura riuscita e intelligente.
Titolo originale: A touch de spice”. Sceneggiatura: Tassos Boulmetis. Musiche: Evanthia Reboutsika. Costumi: Bianca Nikolareizi. Scenografia: Olga Leondiadou. Montaggio: Yiorgos Mavropsaridis. Interpreti: George Corraface, Ieroklis Michailidis, Renia Louiziddu, Stelios Mainas, Tamer Karadagli, Basak Koklukaya, Tassos Bandis, Markos Osse. Produttori: Lily Papadopoulos e Artemis Skoulodudi. Distribuzione: Lady Film. Origine: Grecia, 2003.