Poetico documentario creato sulla semplicità delle emozioni, sulla trasmissione della conoscenza, immerso nelle tenerezze e nella crudeltà disneyane, “La marcia dei pinguini”, film sorpresa dell’anno e successo in tutti e cinque i continenti, esalta ed enfatizza la fatica della sopravvivenza e della caccia al cibo, riesce ad eludere il sentimentalismo verso gli indifesi con la sincera condivisione del pericolo e della paura. Questi pinguini responsabili e maturi sono molto diversi dai folli ammutinati di “Madagascar”: Jacquet trasforma la migrazione stagionale in un’Odissea verso la speranza e la salvezza, applicando le regole della suspence allo stupore della bellezza, alla convivenza affollata sui ghiacci, in un’operazione cinematografica che rende omaggio alle avventure acquatiche di Jacques Cousteau ed all’equipaggio della “Calypso”.
I pinguini prigionieri dell’inferno bianco sono privi del talento comico delle formiche acrobate di “Bug’s life”, ma hanno l’ansia di riscatto dei perdenti, nella commovente epicità della letteratura classica, con la forza di volontà che scandisce eroismi quotidiani, in un modello sociale democratico ed esemplare fondato sulla donazione e solidarietà e sulla vocazione istintiva al sacrificio e alla dedizione. Il regista, cineasta di sfide impossibili sotto zero, ha studiato albe e tramonti, l’entomologia e la vita di “Microcosmos”, lavorando sul confronto eterno tra progresso distruttivo e conservazione degli equilibri naturali, contaminando così l’apologo morale con dialoghi intimi e surreali, pudichi tocchi di umorismo, richiami alle favole di Esopo.
“La marcia dei pinguini” non è mai il trionfo dell’anonimo, che segue il capo senza mai contraddirlo e ribellarsi, chinando il capo ed annuendo in silenzio, ma l’affermazione dell’ingenuità, dell’essenzialità istintiva nei percorsi esistenziali, una lunga linea grigia di sopravvivenza, della tutela dei deboli, della consacrazione ideale di una forma di comunità, nel rispetto esclusivo dei valori.
Un po’ ruffiano ed inevitabilmente antropomorfico, il film lega indissolubilmente vecchie e nuove generazioni dell’emisfero nord, in cammino verso certezze affettive, in fuga dall’incubo dell’estinzione. Il regista sfrutta e tallona creature indifese per riprendere l’invisibile, punta sul consolidamento degli equilibri del rapporto padre-figlio, cercando di restare fedele ai rapporti di amicizia, al vincolo stretto della partecipazione, riuscendo a tracciare una via espressiva che elude la retorica, cercando di ritardare l’appuntamento fatale con il destino. L’intenzione inconfessata è quella di mostrare l’incanto perduto del grande spettacolo della natura, filmando ciò che resta della bellezza della creazione, prima della distruzione degli spazi di convivenza. Trovata l’idea inattaccabile della difesa degli equilibri del mondo animale, il documentario sorprende ed emoziona.
Sceneggiatura: Luc Jacquet, Michel Fessler. Fotografia: Laurent Chalet, Jerome Maison. Musiche: Emilie Simon. Montaggio: Sabine Emiliani. Produttori: Yves Darondeau, Christophe Lioud, Emmanuel Priou. Distribuzione : Lucky Red. Origine: Francia, 2004