Onesto. Calzante. Lucido. E dal punto di vista cinematografico: geniale. “Viva Zapatero!” di Sabina Guzzanti è stato paragonato a Fahrenheit 9/11 di Michael Moore. Con “Viva Zapatero!” rimani incollato sulla sedia e ti accade qualcosa di assolutamente inedito. Per tutto il tempo non sai se ridere o se piangere. Questo film è il più misurato, obbiettivo, tremendo, documento su quello che è diventato questo paese dalla presa del potere di Silvio Berlusconi. È un documento che non fa demagogia, che non gioca oltre il lecito con le battute facili, che non fa sermoni e morali a nessuno, che non certifica verità giornalistiche buone per una battaglia ideologica. Ma mostra le cose come sono. Usa l'intervista nel modo in cui dovrebbe essere utilizzata veramente. E mostra soprattutto quanto il nostro paese, in questi ultimi anni sia franato all'indietro rispetto al resto d'Europa: sul versante dell'informazione, su quello della tolleranza, del diritto di espressione, del diritto di satira.
Naturalmente la storia del film, è in parte la storia del programma, Raiot, di Rai Tre, chiuso dopo la prima puntata, con un gesto censorio sconcertante, e persino ridicolo. La vicenda di Raiot ha mostrato quanto il potere in questo paese non sia in grado di sopportare nulla che non sia filtrato, addomesticato, e soprattutto normalizzato. Così Sabina Guzzanti dopo averci raccontato, con filmati di repertorio, quello che avvenne allora, è tornata dai protagonisti di quella vicenda a chiedere conto. Il programma fu cancellato perché Berlusconi, fece arrivare alla Rai quattro querele con la richiesta di danni per 40 miliardi di vecchie lire. La sentenza ha poi detto che il reato non sussiste, e la Guzzanti è stata assolta soprattutto perché le cose dette nel programma erano sostanzialmente vere. Ma nonostante questo, la Rai non ha rimesso il programma in palinsesto.
Le interviste di Sabina sono perfette. Sabina torna dai suoi censori per chiedere perché. E i perché finiscono per esprimere più che una opinione una sottocultura. Una sottocultura verbosa e arrancante, di gente che non riesce neppure ad arrampicarsi sugli specchi. E si mette a fare distinguo tra informazione e satira, e parla di paletti, di misura, di una quantità di cose che sono senza una logica vera. Ma se “Viva Zapatero!” si limitasse a questo, sarebbe un'utile film su quelli che alcuni definiscono una anomalia di questo paese, e noi potremmo definire meglio come una forma di barbarie: il potere assoluto di un uomo su tutti i mezzi di informazione, e che caccia dal video attori e giornalisti scomodi. Ma Viva Zapatero! è la dimostrazione di un nodo ancora peggiore. Il rapporto tra media e potere che vige in Italia, e che sarebbe riduttivo leggere solo in chiave politica. La sudditanza di buona parte dei media nei confronti del potere, e lo scarsissimo rispetto del potere nei confronti dei media. Non si sa bene chi abbia cominciato prima. Ma questo ormai avviene ovunque: nella politica, nella cultura, nello spettacolo, nello sport. Viva Zapatero! è una grande lezione di giornalismo proprio perché è fuori dal giornalismo. Ma è di certo giornalismo, di certo suo linguaggio, della sua non volontà di fare domande, di quel suo voler essere a tutti i costi trasversale, cincischiante, assolutorio, spesso persino un po' compromesso, pieno di malizie, privo di schiettezza, capace di traccheggiare ogni qualvolta gli è possibile che parla soprattutto Viva Zapatero!. Quel giornalismo che usa il linguaggio dei suoi politici, perché spesso i suoi politici hanno fatto i giornalisti, e ormai nessuno riesce a distinguere i linguaggi: tutti uguali. È proprio questo giornalismo che esce peggio da questo film. È questo farsi da parte, questo lavarsene le mani, che viene fuori con più prepotenza e lucidità dal «j'accuse» della Guzzanti.
Quando chiusero Raiot tutti trovarono una ragione. «Una ragione» con ragione, da parte dei giornali vicini al centrodestra. E «una ragione» per quanto non condivisibile, da parte di quelli del centro sinistra. Ma alla fine si capiva comunque un fatto, e va detto senza ipocrisie: che quel potere condiviso, quelle parole che passano da una bocca all'altra nel film della Guzzanti, parole di destra, di centro e anche di sinistra, nella sostanza non dicono cose troppo diverse. E dietro queste parole c'è un postulato: «i comici non possono fare i giornalisti». Che tradotto significa: una voce che esprime opinioni e non ha fatto un esame di stato non può esprimersi liberamente. Purtroppo con sfumature diverse si ritrova in tutti gli schieramenti.
Sceneggiatura: Sabina Guzzanti. Musiche: Riccardo Giugni, Maurizio Rizzato. Montaggio: Clelio Benevento. Fotografia: Paolo Santolini. Documentario satirico con attori, giornalisti, politici. Produttori: Sabina Guzzanti, Valerio Terenzio. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Italia, 2005.