Tratto dall'omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, appartenente alla terza generazione di scrittori che hanno ricordato la Shoah, Everything is illuminated è la storia di un viaggio in Ucraina alla ricerca del passato, un viaggio nella memoria. Il punto di partenza è una vecchia fotografia del nonno dello stesso Jonathan, ed un nome misterioso: Trachimbrod. Si tratta di una parola per molti priva di senso, ma che richiama ad uno dei tanti luoghi dell'Europa orientale che non esistono più: uno shtetl, cioè un villaggio abitato soltanto da ebrei. Durante il suo viaggio Jonathan incontra Alex, giovane ucraino appassionato dai divertimenti occidentali, ed il nonno dello stesso Alex, uno strano individuo che dice di essere cieco pur non essendolo davvero.
Il film di Schreiber può quindi dividersi in due parti, anche se non sono chiaramente identificabili: non c'è una cesura netta. Nella prima parte possiamo vedere il contatto tra la sensibilità statunitense di Jonathan e la sensibilità di Alex (che però non è etnicamente ucraino: è un russo di Odessa!). Le differenze culturali portano a situazioni ricche di ironia e di umorismo. Poi, mentre il viaggio procede alla ricerca del passato del nonno di Jonathan, si attua uno slittamento così graduale da essere pressocché impercettibile. I due giovani si addentrano lentamente nel territorio della ricerca storica, fino a giungere ad una verità tanto terribile quanto incancellabile nella sua necessità di essere raccontata. In questo senso il protagonista, interpretato con grande acume da Elija Wood, non sembra un personaggio ben definito, ma quasi uno strumento della memoria, non dotato di caratteristiche proprie. Parafrasando una frase del film, la verità non è a Trachimbrod per Jonathan, ma Jonathan è a Trachimbrod per la verità, proprio perché essa trascende dalla semplice umana necessità, per quanto alta possa essere. Un particolare a cui bisogna fare attenzione è la dialettica tra luce-oscurità (piuttosto evidente) ed il contrasto tra vista e cecità. Quest'ultima in realtà ha a che fare con la facoltà umana di guardare solo esteriormente, perché si tratta piuttosto della capacità di ricordare, di vedere con gli occhi del passato. Per questo il nonno di Alex dice di essere cieco, perché nega consapevolmente a se stesso questa possibilità, sperando di mantenere un avvenimento lacerante in una zona della sua mente in cui questo non sia in grado di nuocergli. Pura utopia. Allo stesso tempo, la mania di Jonathan di conservare gli indizi della sua esistenza con parossistica meticolosità è di per se insufficiente a ricostruire la memoria incompleta, senza una capacità interna di vedere (e gli enormi occhiali che adornano il viso di Wood non sono casuali), e solo questa consapevolezza potrà permettergli di essere illuminato.
Pur parlando di temi di grande importanza, Everything is illuminated è un film godibile, con aspetti umoristici e a tratti commoventi che non vanno sottovalutati né passati sotto silenzio. La pellicola di Liev Schreiber (consigliata davvero a tutti) è uno dei film più belli che parlano di Shoah, proprio perché richiedono allo spettatore un coinvolgimento attivo nella "rigida ricerca" di Jonathan, e non una semplice attività di testimonianza, come in Schindler's list o nel Pianista, film pur sempre di grande rilevanza, nel loro genere.
Titolo originale: Everything is illuminated. Scenografia: Mark Geraghty. Montaggio: Creig McKay, Andrew Marcus. Musiche: Paul Cantelon. Costumi: Michael Clancy. Fotografia: Matthew Libatique. Interpreti: Elijah Wood, Eugene Hutz, Boris Leskin. Produttori: Peter Saraf, Marc Turtletaub. Distribuzione: Warner Bros. Origine: U.S.A., 2005.