Norman Winter vive nel cuore delle Montagne Rocciose, insiema a Nebaska, un’indiana Nahanni, e ai suoi cani da slitta. Lontano dalle necessità create dalla società moderna, Norman si nutre dei prodotti della natura, della caccia e della pesca: si fabbrica da solo le racchette, la slitta, la canoa, con il legno fornito dalla foresta e la sua esperienza ed abilità. Una volta all’anno effettua un viaggio fino in città, per barattare le sue pelli con il poco di cui ha bisogno: farina, fiammiferi, candele, pile. Ogni giorno deve fare fronte alle esigenze della sopravvivenza, fra lunghi e avventurosi spostamenti e attacchi di orsi e lupi. Ma la bellezza e le sensazioni che questa natura selvaggia gli dona compensano ampiamente ogni pericolo.
Chi non ha mai sognato di percorrere le vaste distese vergini del Grande Nord, a bordo di una slitta trainata dai cani? Chi non ha mai sognato, da bambino, di diventare un giorno un cacciatore proprio come quelli nei libri d’avventura? Norman Winter è proprio uno di loro, un Jack London dei tempi moderni, un uomo profondamente innamorato della natura. In effetti, questo film è stato definito “una storia d’amore fra l’uomo e la natura”. Il regista, Nicolas Vanier, è anche lui un esploratore, che ha raccontato le sue meravigliose avventure in Siberia, Canada, Lapponia e Alaska in numerosi libri e documentari. Proprio mentre girava uno di questi, Odissea bianca, durante un’incredibile traversata in slitta di 8.600 km dall’Alaska al Quebec, ha incontrato l’uomo che l’ha ispirato a girare questo film: “Norman Winter è un uomo sulla cinquantina che vive con una donna Nahanni, Nebaska. Norman è sempre stato un cacciatore, senza necessità delle cose offerte dalla civiltà. Lui e i suoi cani vivono esclusivamente grazie a ciò che ottengono da caccia e pesca. Norman ha costruito la sua slitta, racchette, capanno, e canoa con il legno e le pelli che ha preso nella foresta e che Nebaska ha conciato secondo la tradizione, così come facevano gli indiani Sekani nell’antichità. Per spostarsi Norman usa i suoi cani: con loro è pronto ad agire al minimo segno di vita, ma sempre affascinato dalla maestosità dei territori che attraversa. È per questo che Norman Winter è un cacciatore. Il Grande Nord è dentro di lui, e anche Nebaska lo porta con sé, ce l’ha nel sangue: la taiga è la madre della sua gente. Norman e Nebaska sanno che una terra vive solo attraverso l’intimo contatto con gli animali, le sue piante, i fiumi, i venti e perfino i colori. La loro saggezza proviene dal profondo e dallo speciale rapporto che hanno con la natura. Quando Norman Winter segue le tracce di un animale le osserva per lungo tempo, per arrivare a comprendere la sua esatta percezione dell’ambiente. Norman sa come liberarsi dall’immobilità evocata da questa immensa landa, ma anche come “entrarvi” attraverso la comprensione di ciò che essa è veramente. Comprendere tutto questo significa percepire l’inconfondibile respiro della terra, spiegarsi perché Norman Winter è l’ultimo cacciatore e perché ha voltato le spalle alla vita moderna, che lui paragona ad un pendio lungo il quale scivoliamo ciecamente. Norman è una sorta di filosofo, convinto che la condivisione e lo scambio con la natura siano essenziali all’equilibrio di quello strano animale all’apice della catena alimentare: l’uomo. Questo è quanto il film, realizzato in oltre dodici mesi, vuole mostrare, accostando viaggi a cavallo durante l’estate indiana a quelli in slitta nei recessi dell’inverno, una discesa in canoa fra le rapide di un fiume al fondo di un maestoso canyon agli attacchi di orsi e lupi. Norman Winter ha accettato di partecipare a questo film come un testimone, per lasciare una traccia meno effimera di quelle che fino ad ora ha così spesso lasciato sulla neve.”
Titolo originale: Le dernier trappeur. Sceneggiatura: Nicolas Vanier. Fotografia: Nicolas Vanier. Interpreti: Norman Winter, May Loo, Alex Van Bibber. Distribuzione: Mikado. Origine: Francia, 2003.