I modelli di narrazione su cui si articola Transamerica sono tra i più classici: il road-movie, il film di strana coppia, la commedia degli equivoci. Lo sono molto meno i suoi protagonisti: un transessuale "pre-op", Bree, che per ottenere l'autorizzazione all'intervento chirurgico da cui uscirà definitivamente donna è costretto a incontrare il figlio teenager concepito ai tempi del college, quando si chiamava ancora Stanley; e lo stesso Toby, ragazzo drogato che si prostituisce per campare, sognando un avvenire come attore porno.
L'equivoco principale è basato sul fatto che Toby, uscito dal carcere per iniziativa di Bree, ne ignora la vera identità; ma, ben lontano dal sospettare che si tratti del padre di cui è alla ricerca, la crede una damina di carità. Né Bree lo smentisce, desiderando soltanto sbarazzarsene il più velocemente possibile.
Intanto, però, deve portarselo in viaggio per l'America, da nordest e sudovest.
Lo schema del viaggio on-the-road come attraversamento sia geografico, sia dei territori sconosciuti della personalità umana, non è certo cosa inedita. Basta guardare l'epilogo però, con la macchina da presa che osserva da una finestra prima di allontanarsi pudicamente, per rendersi conto che questo film indipendente dista le mille miglia dalle convenzioni del cinema "mainstream": laddove Hollywood avrebbe chiuso il cerchio nel solito lieto fine consolatorio, qui il rapporto genitore-figlio è appena all'inizio; più che una soluzione, una possibilità.
Non si vede spesso una commedia con tante virtù: civiltà di propositi, ottimi dialoghi, ritmo vivace, bella fotografia, una grande interpretazione. Quella di Felicity Huffman, ignota fino a ieri al grande pubblico, poi diventata celebre nel ruolo della "casalinga disperata" Lynette e ora in corsa per l'Oscar come migliore attrice protagonista (il film è candidato anche per la miglior canzone originale, "Travelin'Thru" di Dolly Parton).
Lei, la statuetta dell’Oscar, se la meritava tutta, per come ha sottoposto il corpo a un trucco deformante e delicato insieme, calandosi poi in un personaggio che è un crogiolo di dolore, humour, amarezza, determinazione. Trovare tanta umanità in un "carattere" cinematografico è cosa che, in una stagione, capita un numero di volte da contare sulle dita.
Sceneggiatura: Duncan Tucker. Scenografie: Mark White. Costumi: Danny Glicker. Musiche: David Mansfield. Fotografia: Stephen Kazmierski. Montaggio: Pam Wise. Interpreti: Felicity Huffman, Kevin Zegers, Fionnulla Flanagan, Burt Young, Elizabeth Peña. Graham Greene. Produttori: Linda Moran, Rene Bastian, Sebastian Dungan. Distribuzione: DNC. Origine: U.S.A., 2005.