Chicago: Catherine (Gwyneth Paltrow) ha appena perso suo padre Robert (Anthony Hopkins), un professore di matematica geniale ma malato di mente da molti anni. Per occuparsi di lui Catherine ha lasciato gli studi (sempre di matematica), ed ora è dominata dalla paura di impazzire a sua volta. L'arrivo della sorella maggiore (Hope Davis) da New York non la aiuta certo a ritrovare la serenità perduta, mentre cresce invece l'intesa con un ex allievo di suo padre, il matematico/rockettaro Hal (Jack Gyllenhaal).
Squadra che vince non si cambia: a sette anni di distanza da Shakespeare in Love, la Miramax rimette insieme il regista John Madden e l'attrice Gwyneth Paltrow in un film meno esplosivo ma più adulto, più vicino ai toni smorzati del dramma psicologico che non a quelli scoppiettanti della commedia romantica: si tratta di Proof, dall'omonima opera teatrale di David Auburn del 2000, sceneggiato dallo stesso autore e dalla figlia di Arthur Miller, Rebecca.
Un'opera di grande successo che continua ad apparire sui palcoscenici americani come non accadeva dai tempi di Amadeus. Anche il film funziona, "tradotto" da Madden in un linguaggio cinematografico semplice ma congeniale, in cui prevalgono i primi piani della protagonista, lo sguardo perso, sofferente, fragile. Un'ottima occasione per mettere in risalto le proprie doti di attrice che la Paltrow ha saputo sfruttare al meglio.
Scritta con lo stesso rigore matematico di cui si occupa a livello tematico, la trama si sviluppa, come enunciato dal titolo, attorno al concetto chiave di dimostrazione, prova, evidenza: la ricerca matematica ha senso solo se giunge ad essere dimostrata, comprovata. Più difficile è riportare questo atteggiamento scientifico nella vita e nelle relazioni interpersonali, ma soprattutto nell'atto di misurare la propria identità e il proprio ruolo del mondo. Il personaggio stesso di Catherine è (come suo padre prima di lei) un "problema" matematico di grande rilevanza e originalità, che potrebbe far compiere grandi passi avanti alla ricerca, ma che nessuno (compresa lei stessa) sembra in grado di capire, tantomeno di risolvere. In questo senso il discorso della pazzia, e della paura della pazzia, è il punto d'arrivo estremo di una perdita della fiducia in sé, quel tormento che pare accompagnare sempre le persone di genio prima che trovino la via giusta per esprimerlo.
Il "genio" di Catherine è chiuso a chiave, letteralmente, in un cassetto, confinato lì dalla propria paura, da una sfiducia in se stessa che si riflette in una generale sfiducia in lei da parte degli altri, della sorella in primis. La differenza maggiore fra Proof e la storia che racconta, è che lo scioglimento dei nodi del film non porta a quell'ammirazione sconfinata cui porterebbe la soluzione di un difficile, annoso problema matematico: flashback a parte (in qualche caso persino superflui), Proof si dipana con linearità e prevedibilità, guadagnando però in intensità e coinvolgimento emotivo, grazie anche alla bravura degli attori, tutti molto misurati (compreso il "matto" Hopkins) e alla colonna sonora di Stephen Warbeck che mira a suggerire più la tensione interiore e lo smarrimento che non a sottolineare l'emotività di certe svolte narrative.
Tratto dalla pièce teatrale di David Auburn vincitrice del Premio Pulizer. Sceneggiatura: David Auburn, Rebecca Miller. Scenografie: Alice Normington. Musiche: Stephen Warbeck. Costumi: Jill Taylor. Montaggio: Mick Audsley. Fotografia: Alwin Kucler. Interpreti: Gwyneth Paltrow, Anthony Hopkins, Jake Gyllenhaal, Hope Davis. Produttori: Jeffrey Sharp, John N. Hart Jr, Robert Kessel, Alison Owen. Distribuzione: Buena Vista. Origine: U.S.A., 2005.