In concorso al Festival del Cinema di Venezia 2006.
Dopo gli andirivieni dal sud al nord e dal nord al sud dell’Italia, dopo l’Albania, dopo Berlino e le sponde del Mare del nord, Gianni Amelio si avvia a un viaggio ancora più complesso: uno in Cina, a Shanghai, e da Shanghai a ritroso lungo il corso del fiume Yang Tze, fino alle pendici del Tibet. È infatti ambientato in Cina il suo nuovo film, La stella che non c’è. Il film, scritto da Amelio con Umberto Contarello, nasce da La dismissione, il romanzo di Ermanno Rea che racconta di un tecnico di una acciaieria di Napoli chiusa dopo un secolo di vita, incaricato dello smontaggio del “suo” impianto, venduto ai cinesi, e ossessionato dal bisogno di Eire un lavoro perfetto, quasi il coronamento della sua vita professionale. Fin qui il romanzo. Da qui, il film di Amelio, che comincia dove il libro finisce (Rea è al corrente del cambiamento radicale), quando cioè il protagonista scopre che nella macchina che i cinesi hanno comprato e installato c’è un difetto, un pezzo, una “stella“, che non c’è. E parte per la Cina, senza sapere in quale delle tante acciaierie del paese la macchina sia stata installata, per cercarla e riparare il guasto, correggere l’errore. «È un film contro la cialtroneria - ci ha raccontato Amelio -. Un film sulla necessità di fare le cose bene, qualsiasi cosa. Il protagonista è una sorta di Don Chisciotte che combatte non contro i mulini a vento, ma contro un vizio radicato nella mentalità di oggi, l’approssimazione. E che crede ancora nella manualità, nel fatto che la sua presenza sia indispensabile per riparare la macchina. Sono due perciò i sentimenti che lo muovono: l’idea che ancora oggi con le mani si lavori meglio che con cento macchine e l’orgoglio di un lavoro ben fatto. Ma - aggiunge il regista, questo è il tessuto interno, lo spinto del film, che ha un andamento spesso leggero, picaresco. E che richiede, prima di tutto, una lettura istintiva, emozionale».
Come tutti i film di viaggio, La stella che non c’è si confronta con certe mitologie ormai classiche, e se ne appropria: il senso della scoperta, l’impatto con un mondo sconosciuto e le “finestre” che ti si aprono davanti. E naturalmente gli incontri, soprattutto uno, con una ragazza cinese che fa da guida al protagonista ed è il suo corrispettivo nella Cina moderna. «Come lui, anche lei combatte contro qualcosa. contro le contraddizioni del suo paese in mutamento, nel quale oggi un liberismo fin troppo esibito convive con la rigidità di un passato tutt’altro che estinto. Sono due persone che, nonostante le enormi differenze, hanno molto da scambiarsi».
Amelio affronta l’avventura con lo stesso spinto e lo stesso rigore da “amanuense” del suo personaggio: «Anch’io scopro con lui, passo dopo passo, un paese sconosciuto, verso un finale che porta verso altri orizzonti. Credo che anche questo, come tutti i viaggi, sarà ritemprante. Il mio personaggio si mette in cammino per esorcizzare la perdita di qualcosa (il contatto fisico con la macchina), ma finisce per trovare la spinta per ricominciare. E proprio questo vorrei che il film trasmettesse: non il pianto per una perdita, ma la voglia di scoprire il nuovo»
Soggetto e sceneggiatura: Gianni Amelio, Umberto Contarello liberamente ispirato a “La dismissione” di Ermanno Rea Edizioni Bur. Scenografia: Attilio Viti. Costumi: Cristina Francioni. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Simona Paggi. Musiche: Franco Piersanti. Interpreti: Sergio Castellino, Tai Ling, Wang Biao, Hiu Sun Ha, Angelo Costabile, Xu Chungging. Produttori: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz. Distribuzione: O1 Distribution. Origine: Italia, 2006.