Non è molto comune imbattersi in un film dove sono rappresentati uomini di potere ancora vivi ed ancora in una solida posizione di comando. Queste cose però possono accadere in Inghilterra, dove la libertà di parola è una valore sacro e dove, fatto non casuale, c'è un regista come Stephen Frears. The Queen affronta le due settimane in cui i rapporti tra monarchia inglese ed opinione pubblica furono difficili e sull'orlo della rottura, in un escalation senza precedenti. L'improvvisa morte di Lady Diana nell'agosto del 1997 lasciò sgomento il mondo e la casa reale, del tutto impreparata ad affrontare un lutto del genere, e ancora più impreparata a confrontarsi con l'amore degli inglesi per la principessa scomparsa.
A Stephen Frears non interessa il pettegolezzo o l'illazione pruriginosa, né tantomeno la ricerca di tesi cospirazioniste lievitate e poi inevitabilmente sgonfiate nei quasi dieci anni che ci separano da quella tragedia. Come suggerisce esplicitamente la citazione in epigrafe al film tratta da Shakespeare, "incerto è il capo su cui poggia la corona" (Enrico IV, Parte II), il tema del film è piuttosto un analisi disincantata sull'essenza del potere, e di come un evento tragico percepito in maniera negativa e sospettosa dall'opinione pubblica possa innescare un conflitto costituzionale senza precedenti.
Molto del valore del film è affidato alla bravura di Helen Mirren nel ruolo della Regina Elisabetta, che riesce a creare un personaggio tridimensionale e molto umano anche nelle sue debolezze e nell'attaccamento rigoroso ai propri poteri e alle proprie prerogative. La Regina è una donna di un'altra generazione, che comprende solo quando è troppo tardi quanto Diana sia stata amata dall'opinione pubblica e in particolar modo dai sudditi inglesi (suddito è il termine tecnico, non un dispregiativo). Allo stesso tempo però la Regina è molto protettiva nei confronti dei nipoti William e Harry, portati di gran fretta al Castello di Balmoran per sottrarli ad una stampa sempre più vorace ad aggressiva nell'ottenere notizie sui figli di Diana, ora che questa è scomparsa. Il film ipotizza che proprio quando il disamore degli inglesi verso la monarchia stava raggiungendo il culmine, Tony Blair abbia trovato una mediazione inducendo la Regina a riconoscere il lutto di coloro che amavano Diana e a farsene carico, tornando a Londra e rivolgendosi direttamente a loro.
Tutti i personaggi del resto sono trattati con profondità e rispetto in particolare il principe Carlo, ritratto con grande dignità. Forse il solo Tony Blair è rappresentato con una punta di amara ironia, visto che nel film assistiamo ai primi segni di un processo di trasformazione che da "uomo del cambiamento" eletto a furor di popolo lo porterà a diventare un politico sostanzialmente reazionario, deludendo le aspettative di molti. Ma non bisogna credere che solo perché i personaggi sono rappresentati nella loro umanità il film sia indulgente nei loro confronti. La sceneggiatura di Peter Morgan, tratta in parte dalle testimonianze di chi lavorava in quei giorni nelle varie corti coinvolte (Saint James, facente capo al Principe Carlo, Kensington, che rispondeva a Diana ed infine Buckingham Palace) è tutt'altro che indulgente nei confronti della Regina, rappresentata spesso in situazioni irriverenti (in vestaglia!) e in scambi di battute mordaci con i membri del suo staff. Specialmente se riferiti a Tony Blair, ignaro del protocollo reale. È senza dubbio uno dei film più convincenti presentati alla 63 mostra del cinema di Venezia.
Sceneggiatura: Peter Morgan. Costumi: Consoltata Boyle. Musiche: Alexandre Desplat. Scenografia: Alan MacDonald. Montaggio: Lucia Zucchetti. Fotografia: Affonso Beato. Interpreti: Helen Mirren, Michael Sheen, James Cromwell, Helen Mccrory, Alex Jennings, Roger Allam, Sylvia Syms. Produttori: Andy Harries, Christine Langan, Tracey Seaward. Distribuzione: BIM. Origine: Regno Unito/Francia/Italia, 2006.