Sceneggiatura: John Fusco
Musiche: Hans Zimmer e Bryan Adams
Scenografia: Kathy Altieri
Montaggio: Nick Fletcher
Stati Uniti - 2002 - 84'
C'è tanto di quel cinema americano più popolare (ma anche della pittura e dell'illustrazione) in cui i cavalli compaiono come comprimari insieme a paesaggi e personaggi che avremmo dovuto chiederci già da tempo per quale ragione Disney non abbia mai fatto di questo quadrupede, che scomparse dal continente americano dal pleistocene e vi fu reintrodotto dagli europei, il protagonista di un lungometraggio di successo. Ci ha pensato Jeffrey Katzenberg, che prima ha lavorato a lungo per la Disney ed ora è tra i cervelli della Dreamworks producendo Spirit - Stallion of the Cimarron, presentato fuori concorso a Cannes 2002. Il successo ebbe l'anno precedente sulla Croisette Shrek ha spinto il festival a riprovarci. L'animazione, nelle ultime stagioni, ha acquisito un grado di complessità tecnologica ed espressiva, un tale peso nel mercato, che escluderla da una delle principali vetrine cinematografiche, era decisamente un controsenso. Perciò, anche nel 2002, un lungometraggio animato ha fatto orgogliosamente parte del programma.
Ma bastano poche inquadrature di Spirit per capire che non ha molto a che vedere con Shrek. Non solo perché è realizzato secondo le tecniche d'animazione tradizionale e non digitale - un'esecuzione più che pregevole, per il tratto sontuoso degli ambienti e per il movimento decisamente fluido e morbido dei corpi di animali e personaggi - ma perché ispirato all'idea più tradizionale del cartone animato per famiglie. Lo stallone protagonista, libero e selvaggio, che passa dal mare d'erba della prateria alla cattività in un fortino dell'esercito e quindi incrocia lo sterminio degli indiani e la costruzione della ferrovia, somiglia agli uomini più di quanto abbiano mai fatto gli animali antropomorfi delle favole di Esopo e di quelle di Disney messe insieme.
Sa recitare tutte le espressioni possibili (rabbia, stupore, sarcasmo, amore), sgrana gli occhi ad ogni inquadratura come un eterno cucciolo e scorazza per il mondo accompagnato da musiche che starebbero a pennello nello spot di lancio di una nuova utilitaria che sfrecci in un mondo da idillio: trionfi di libellule e ninfee, corse a perdifiato inseguendo aquile, maestose cascate.
Lucas, a Cannes, ha detto che il mondo dell'animazione è esploso negli ultimi anni e Shrek aveva dimostrato che era possibile non solo creare nuovi personaggi, più mobili, sornioni e anticonformisti, ma che i cartoni non erano obbligati ad essere ghettizzati nel cinema per piccini. Spirit sembra riproporre con forza il contrario. La sua struttura elementare che oppone natura a civiltà come nel poster di un'agenzia di viaggi, la ricerca di emozioni forti, scontornate e rudimentali che riempiano a perfezione la comunicazione con il mondo infantile, inducono al sospetto che Katzenberg, abilissimo imprenditoire e non solo ottimo conoscitore dell'arte degli impressionisti, voglia stressare la Disney con una sorta di doccia scozzese: prima costringendola a rinnovarsi riempiendo di humor e piccole audacie il mondo dei cartoni e poi entrando in competizione senza reverenza sullo stesso terreno su cui essa ha costruito il suo impero sull'infanzia. A confronto con questa apologia ecologica politicamente corretta che ricorda con educazione ai bambini americani quanto il loro paese sia stata cattivo con gli indiani e sconsiderato con il proprio ambiente, la storia di Bambi ha la complessità di un romanzo di Schnitzler.
(Mario Sesti)