Premio Oscar per il Miglior Film in Lingua Straniera.
Das Leben Der Anderen (Le vite degli altri), diretto da Florian Henckel von Donnersmarck, è una pellicola sulla metamorfosi di un ufficiale della Stasi - i servizi segreti della vecchia Germania socialista - e i suoi rapporti con uno scrittore tenuto sotto stretto controllo. Uscito in Germania nel marzo del 2006, ha ricevuto numerosi premi e consensi di pubblico.
La vita degli altri è una dimensione segreta, impenetrabile, preclusa per definizione. Eppure la vita degli altri può venire violata, scoperta e osservata nei suoi aspetti più intimi e segreti. Il film è ambientato nella vivace e decadente scena culturale della Berlino est degli anni Ottanta: nella tranquilla vita di una coppia dell’intellighencja socialista irrompe con violenza l’autorità dello Stato attraverso l’abuso di potere di un ministro senza morale né scrupoli.
Questo viscido ministro s’invaghisce della donna di un noto scrittore idealisticamente fedele alla linea, non per opportunismo, ma per convinzione. Il rifiuto delle avance da parte della donna scatena un sentimento di vendetta nel ministro corrotto, che decide di mettere la coppia sotto stretta sorveglianza della Stasi nella speranza di incastrarli.
Qui entra in scena l’ufficiale della Stasi, un bravissimo Ulrich Mühe, che penetra lentamente e progressivamente nella vita della coppia, nei meandri più nascosti della vita degli altri. Il caso vuole che, proprio in quel periodo, lo scrittore inizi a prendere coscienza delle numerose ingiustizie del regime a danno degli artisti e della libertà d’espressione in generale, avvicinandosi pericolosamente a un gruppo di dissidenti.
Tuttavia più l’ufficiale della Stasi entra in contatto con la vita privata della coppia, più la sua fiducia e la sua lealtà nei confronti dello Stato cominciano a traballare.
Il film racconta sostanzialmente come l’ufficiale, resosi conto della futilità di una vendetta privata, riesca a salvaguardare la vita di questi altri. Purtroppo, la pellicola prende a volte una nota troppo patetica nel raccontarci la storia del “buon ufficiale della Stasi”, redento e rinato. La sua figura manca di una certa profondità psicologica, la sua redenzione non funziona, è poco credibile e non sufficientemente motivata. Manca la presa di coscienza del fatto che la violazione sistematica della vita degli altri è un atto aberrante, per quanto fosse una pratica comune e largamente utilizzata nei regimi totalitari del Novecento, dal nazismo al comunismo.
In questo aspetto tuttavia si rivela la ricchezza della pellicola, il coraggio di parlare di un argomento censurato per tanti anni, di un tema che ha lasciato aperte molte domande che non hanno ancora trovato risposte adeguate. La vita degli altri illustra le vicende e le pratiche della Stasi, confrontandosi con il tema del controllo sulla vita dei cittadini a livello capillare da parte dello Stato.
Come veniva esercitata questa stretta sorveglianza e quali sono i meccanismi che lo permettevano? In quali forme si esplicava il potere da parte di uno Stato tristemente corrotto, con tutti i suoi abusi e soprusi, nell’ultima fase della sua esistenza? Il film purtroppo non riesce a rispondere in maniera esauriente a tutte queste domande, si rivela non essere sempre all’altezza del tema che si propone di affrontare, non solo da un punto di vista storico, ma soprattutto per la caratterizzazione troppo superficiale e stilizzata dei personaggi. Lascia però aperta una strada a degli interrogativi attuali, interessanti soprattutto per spettatori non troppo informati, ma interessati alla DDR, alla sua storia e alla sua essenza.
Titolo Originale: Das Leben Der Anderen. Sceneggiatura: Florian Henckel Von Donnersmarck. Scenografia: Silke Buhr. Costumi: Gabriele Binder. Fotografia: Hagen Bogdanski. Montaggio: Patricia Rimmel. Musiche: Gabriel Yared, Stéphane Moucha. Interpreti: Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Herbert Knaup. Produttori: Quirin Berg, Max Wiedemann. Distribuzione: O1 Distribution. Origine: Germania, 2006