Sette anni dopo, tornano a sedersi al desco delle Fate che segnarono uno dei più grandi successi di Ozpetek, i membri di quella “famiglia allargata” tanto cara al regista turco, i cui contorni – sebbene nell’irrinunciabile confezione patinata – ha sempre saputo tracciare con sensibile realismo. In realtà, il richiamo al film del 2001 è soltanto apparente perché qui Ozpetek vuole spingersi più lontano, ad esplorare le derive di un gruppo di anime al loro bivio, sia esso esistenziale o sentimentale.
Ritroviamo Accorsi e la Buy, l’amica impicciona ma irresistibile, gli amori gay e non, ma l’epoca della vita è un’altra, quella in cui si attraversa il guado di una maturità verso la quale non sempre si ha il coraggio, o semplicemente la voglia, di andare. L’amicizia è il punto di riferimento di questo scorcio di umanità che Ozpetek vuole raccontare e la forza di questo legame traspare in ogni fotogramma del film, si fissa sulle facce dei protagonisti, influenza le loro azioni, funge da coscienza e da appiglio.
Perdere la presa di questa corda che li tiene insieme significa scivolare verso l’inevitabilità del cambiamento e di fronte a quello più radicale – la morte – ciascuno, a suo modo, vede andare in frantumi le proprie certezze. Fin qui Ozpetek non sbaglia un colpo, tracciando con pochi ma decisi tratti i caratteri dei suoi protagonisti, le linee invisibili dei sentimenti che li legano fino alle tensioni che li angosciano; peccato però che si fermi alla superficie delle sue intenzioni, che non si lasci andare e abbia la forza, finalmente, di osare.
Il film ha così l’aria di un racconto inespresso o, ancor meglio, inesploso. Come se temesse di arrivare nella profondità del dolore, il regista preferisce rimanere nell’atmosfera del dramma di maniera, usando la macchina da presa come una preziosa stilografica che lascia svolazzi in bella calligrafia vergati al ritmo di una magnifica colonna sonora che si fa unico elemento di emozione. La sceneggiatura amplifica quel senso di irrisolto e nonostante l’ottima prova del cast (su tutti un Favino che ancora una volta sfodera il suo talento e Ambra, piacevolissima scoperta) il film risente di quella forza emotiva, ma soprattutto di quella coerenza, necessarie alla narrazione drammatica. In una sempre impeccabile confezione scenografica Ozptek si limita a mettere in scena la sua storia e finisce per scivolare sul terreno vischioso della facile commozione, lasciandosi tentare da luoghi comuni a volte imbarazzanti. Quel che resta non è che la sensazione amara di aver avuto tra le mani un’occasione e, nel timore di afferrarla con troppo forza, sia andata irrimediabilmente perduta.
Sceneggiatura: Gianni Romoli, Ferzan Ozpetek. Fotografia: Gianfilippo Corticelli. Montaggio: Patrizio Morone. Musiche: Neffa. Costumi: Alessandro Lai. Scenografia: Massimiliano Nocente. Interpreti: Stefano Accorsi, Margherita Buy, Pierfrancesco Favino, Serra Yilmaz, Ennio Fantastichino, Ambra Angiolini, Luca Argentero, Filippo Timi, Michelangelo Tommaso, Milena Vukotic, Luigi Diberti, Lunetta Savino, Isabella Ferrari. Produttori: Tilde Corsi, Gianni Romoli. Distribuzione: Medusa. Origine: Italia, 2007.