In occasione delle proiezioni per la stampa si va in sala carichi di aspettative o, perché no, di preconcetti, per scrivere poi di una nuova pellicola il cui destino è ignoto. Nessuno può realmente immaginare, ad esempio, cosa ne sarà tra sessant´anni di Pinocchio. Mentre di fronte a Il grande dittatore di Charles Spencer Chaplin, detto Charlot, tutto questo decade: si vede un film il cui destino è già noto. E´ la Storia a parlare per il regista e per l´opera. Perciò, il recensore non può fare altro che deporre le armi della critica e constatare l´immortalità di un lavoro artistico capace di resistere all´usura del tempo.
La storia del film è nota. Il regista de La febbre dell´oro, Le luci della città e Tempi moderni, dopo aver criticato la società capitalistica americana in forma di tragicommedia, volle affrontare il tema della guerra e del razzismo con una pellicola che mettesse alla berlina la figura dei due dittatori europei, Hitler e Mussolini. Storpiò i loro nomi in Hynkel e Napaloni, sviluppò una storia parallela ambientata in un ghetto ebraico con protagonisti un barbiere e la sua innamorata (Paulette Goddard), e con grande abilità narrativa dette vita ad una memorabile parodia cinematografica sulla degenerazione del potere.
Il grande dittatore è un´opera senza tempo e si può dimostrare quest´affermazione citando l´inizio del film quando si premette che la storia narrata si svolge tra due guerre. A sessant´anni di distanza, possiamo dire di vivere, esattamente, ancora tra due guerre. L´intervallo tra un conflitto e l´altro si è ridotto al punto che ormai si parla di guerra come di un´operazione umanitaria e pacifica. La differenza è che oggi nessuno si sogna di scrivere una sceneggiatura con protagonisti un barbiere palestinese o irakeno, e con fantomatici dittatori dai nomi del tutto inventati, come Saddami, Push (che si strozza con una nocciolina anziché con la mostarda), Blairetti e Sharoni (in Italia uno che finisce in oni c´è già, senza bisogno di inventarlo).
Chaplin ha concepito una storia semplice. E´ andato all´essenza della questione ponendo da un lato la terrificante follia ingannatrice dei dittatori, dall´altro la remissività degli oppressi che non riescono a prendere coscienza del fatto di essere in soprannumero e, dunque, di poter reagire ai soprusi. Nel mezzo, ha posto il barbiere ebreo e Hannah, ossia coloro che con ingenuità riescono ancora a sognare a occhi aperti e a combattere il male del mondo con la forza dell´idealismo.
Il discorso finale del barbiere ebreo può sembrare fuori luogo se lo intendiamo come una profezia. Nei giorni in cui fu pensato, l´Europa cominciava a incendiarsi e sogni e ideali venivano inceneriti nei lager. Ma Chaplin non aveva alcuna intenzione profetica. Tolti i panni dell´attore, parlò l´uomo che sapeva e voleva immaginare un mondo senza guerre. Non recitava più, invitava tutti a guardare in alto, a non odiare e disprezzare, a non prestarsi in alcun modo a diventare carne da macello o macchine da guerra. E quel discorso non era riferito solo ai nazisti e ai fascisti, ma a uomini e donne di questo mondo e di ogni tempo. Per questo Il grande dittatore è un vecchio film che oggi non è patrimonio esclusivo dei cinefili, ma di tutti coloro che sognano popoli senza tiranni.
(Mazzino Montinari)
Aiuto regista: Dan James e Wheeler Dryden e Robert Meltzer.
Soggetto e sceneggiatura: Charles Spencer Chaplin.
Fotografia: Karl Struss e Roland Totheroh.
Musiche: Charles Spencer Chaplin e Meredith Willson.
Montaggio: Willard Nico.
Scenografia: J. Russell Spencer.
Interpreti: Charles Spencer Chaplin, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Henry Daniell, Billy Gilbert, Grace Hayle, Carter De Haven, Paulette Goddard, Maurice Moskovich, Emma Dunn, Bernard Gorcey.
USA, 1940,
Riedizione 2002