A Beirut, alcune donne lavorano in un istituto di bellezza: Layale, innamorata di un uomo sposato, Nisrine, che sta per sposarsi e non sa come dire al futuro sposo che ha già perduto la verginità, Rima, che non riesce ad accettare di essere attratta dalle donne, Jamale, ossessionata dall'età e dal fisico, e infine Rose, che ha sacrificato i suoi anni migliori e la sua felicità per occuparsi della sorella Lili. Nel salone, tra colpi di spazzola e cerette al caramello, si parla di sesso e maternità con la libertà e l'intimità propria delle donne.
Nadine Labaki, insieme protagonista e regista del film, ci propone un affresco sulle donne, che non mancherà di andare dritto al cuore delle spettatrici, ma non solo: ci troviamo di fronte ad un acquerello a tinte delicate, mai volgari, che tratta temi di scottante attualità come la guerra, la convivenza tra cristiani e musulmani, il mischiarsi di abitudini ed etnie differenti. Stupiti, contempliamo come i problemi del mondo femminile siano sempre gli stessi, anche se il progresso sembra essersi fermato agli anni '80. Le donne fanno scudo, insieme, per affrontare le difficili realtà da cui sono circondate ed assalite.
Con colori e fotografia degni dei pittori fiamminghi, Labaki poggia lo sguardo sulle dolci malinconie quotidiane, senza cadere nello scontato o nello stucchevole e riuscendo a raccontare ben sei storie in una sola, senza che nessuna prenda il sopravvento. Narra le sue vicende attraverso gli occhi, i suoni e gli odori in modo così pregnante da convincerci di poter toccare e assaporare le immagini, come se fossimo realmente immersi nell'atmosfera della ben bilanciata sceneggiatura.
Se non è certo la prima volta che il cinema tratteggia un affresco dove a farla da padrone è il mondo del cosiddetto “sesso debole” (da Donne di Cukor a Fiori d’acciaio di Ross, per fare due esempi), sicuramente è inedita la cornice. Una pellicola libanese che finalmente non parla solo di guerra, ma della quotidianità di una realtà che si sta pian piano occidentalizzando e modernizzando, nel bene e nel male (basti pensare all’ossessione del “rifarsi” a tutti i costi), pur mantenendo saldi e inoppugnabili principi e tradizioni secolari.
Tra matrimoni e cene, appuntamenti mancati e inquietanti maschere di bellezza, emerge una Beirut vitale che fa da sfondo a questo leggero girotondo dai toni mélo.
Caramel piacerà senza ombra di dubbio alle donne, che non potranno non commuoversi e sorridere per ovvio processo di identificazione col dolceamaro teatrino messo su da Nadine Labaki, ma anche il pubblico maschile rimarrà incantato dal fascino di un universo che spesso e volentieri non riesce a cogliere appieno.
La regista seduce con la sua mediterranea bellezza e affascina con il suo intelligente pastiche, molto meno zuccheroso di quanto si possa pensare, estremamente raffinato nelle sue calde immagini fatte di fugaci sguardi e particolari rubati, e, allo stesso tempo, conquista per la sua semplicità e naturalezza.
Sceneggiatura: Nadine Labaki, Jihad Hojely Rodney Al Haddad. Scenografia: Cynthia Zahar. Costumi: Caroline Labaki. Montaggio: Laure Gardette. Musiche: Khaled Mouzanar. Fotografia: Yves Sehnaoui. Interpreti: Nadine Labaki, Yasmine Al Masri, Joanna Moukarzel, Gisèle Aouad, Siham Haddad, Aziza Semaan, Fatme Safa, Adel Karam. Produttore: Anne-Dominique Toussaint. Distribuzione : LadyBlu. Origine: Francia/Libano 2007