Orgoglio e dignità, due parole importanti che fanno la differenza nell’esistenza di un uomo. E nel terzo film di Fernando Leon de Aranoa, I lunedì al sole, candidato a rappresentare la Spagna agli Oscar e vincitore di cinque premi Goya, sono proprio l’orgoglio e la dignità ad agitare nel bene e nel male tutti i personaggi della storia.
Già nel precedente Barrio, dove i protagonisti erano degli adolescenti inquieti della periferia di Madrid (Sweet sixteen in chiave spagnola?), de Aranoa aveva dimostrato di saper dosare dramma e ironia. I lunedì al sole non fa che confermare il talento di un regista che sa girare storie riprese dalla realtà con il giusto equilibrio, senza mai cadere nella retorica del melodramma e rifuggendo da un certo macchiettismo. Va doverosamente aggiunto che questo film si avvale anche della grande interpretazione di Javier Bardem (perfetto nel saper unire dramma e ironia) e, più in generale, di un ottimo cast (segnaliamo tra tutti Luis Pilar e José Angel Egido).
I protagonisti de I lunedì al sole sono degli ex lavoratori senza più prospettive professionali. Licenziati da un cantiere navale situato in una città del nord (probabilmente Vigo), sono rimasti schiacciati dalla politica ultraliberista del primo ministro Aznar, così come quelli di Ken Loach sono stati messi alla fame prima dalla conservatrice Tatcher e poi dal progressista e laburista Blair. Un film che dunque non mira esclusivamente alla Spagna ma che mette sotto la lente d’ingrandimento l’attuale sistema economico internazionale.
Quello che de Aranoa esibisce, catturandolo direttamente dalla realtà (il film comincia con le proteste dei lavoratori di Gjion riprese da un servizio televisivo), è un mondo che si nutre di ingiustizie allo scopo di favorire i pochi che posseggono sempre di più, ai danni dei molti che hanno sempre di meno. E’ significativa la scena nella quale marito e moglie si recano in banca per ottenere un prestito e si vedono messi alla porta perché non hanno i soldi per comprarsi altri soldi: chi non ha, è destinato ad avere sempre di meno e per giunta non deve neanche accampare pretese.
Questi uomini, perciò, sono stati letteralmente espulsi da quella strana e illogica società che prima esalta e promuove la produttività a ideologia e poi costringe e condanna i suoi cittadini alla perenne inattività.
Santa, José, Lino e Amador, questi i loro nomi, devono inventarsi un nuovo modo d’esistere, anzi di sopravvivere. Ogni lunedì si recano in battello al collocamento (da qui la ragione del titolo) e là compilano inutili moduli. Però, non c’è niente da fare: troppo vecchi per le nuove professioni, ma anche troppo giovani per tirare i remi in barca. Forse avrebbero dovuto comportarsi come il loro ex compagno di lotta che rinunciando alla serrata nel cantiere, poi ha percepito una cospicua buona uscita che gli ha permesso di aprire un bar. Quello stesso locale dove ogni giorno i quattro protagonisti si riuniscono cercando di esorcizzare la loro situazione con le parole e con buone dosi di alcol. Non è detto, però, che tutti possano reagire allo stesso modo. Non è possibile pensare che ogni uomo sia in grado di riciclarsi in qualcosa d’altro. E così, la vita va avanti tra riflessioni filosofiche ed esistenziali, considerazioni politiche, incertezze sentimentali, sogni di viaggi in Australia, recriminazioni, risentimenti, sorrisi conciliatori e bicchieri di birra, possibilmente da mettere sul conto.
Sarebbe riduttivo, tuttavia, pensare che questo sia un film ad uso esclusivo della classe operaia. De Aranoa mira a qualcosa che trascende la semplice denuncia a sfondo sociale. Con uno stile narrativo sobrio, il regista giunge alla conclusione che il lavoro non può essere considerato l’unico elemento utile a tenere in piedi l’esistenza di un uomo. Certo, questo è un discorso difficile da portare avanti perché evidentemente se questi uomini avessero un’occupazione, la loro storia prenderebbe una piega diversa. In più, de Aranoa non cade nella tentazione di regalare ai personaggi l’aura del santo. Non li rende simpatici a tutti i costi. Li mette, piuttosto, alla prova. Li costringe a guardarsi allo specchio e a lottare non solo contro il nemico (per lo più invisibile perché nascosto chissà dietro quale multinazionale) ma anche contro se stessi.
E’ in ballo l’orgoglio e la dignità di questi uomini. Quello che il regista spagnolo cerca di mostrare è il continuo vacillare di individui che praticano loro malgrado un pericoloso e talvolta autodistruttivo gioco d’equilibrismo. Possono cadere e farsi molto male, forse fino a morire, oppure possono rialzarsi con uno scatto d’impeto, come accade a Santa che costretto a pagare per aver rotto un lampione durante le proteste al cantiere, subito dopo si riappropria della sua dignità sfasciando (giustamente!) quello stesso lampione appena riparato con i suoi soldi.
Insomma, I lunedì al sole è anche e soprattutto una riflessione sulle risorse dell’uomo, sulla capacità di saper e voler camminare su un filo senza rete.
(Mazzino Montinari)
Sceneggiatura: Fernando Leòn de Aranoa e Ignacio del Moral. Fotografia: Alfredo Mayo. Musiche: Lucio Godoy. Maiki Marìn. Montaggio: Nacho Ruiz Capillas. Interpreti: Javier Bardem, Luis Tosar, José Angel Egido, Nieve de Medina. Spagna-Francia-Italia. 2002.