Jean-Dominique Bauby si risveglia dopo un lungo coma in un letto d'ospedale. È il caporedattore di 'Elle' e ha accusato un malore mentre era in auto con uno dei figli. Jean-Dominique scopre ora un'atroce verità: il suo cervello non ha più alcun collegamento con il sistema nervoso centrale. Il giornalista è totalmente paralizzato e ha perso l'uso della parola oltre a quello dell'occhio destro. Gli resta solo il sinistro per poter lentamente riprendere contatto con il mondo. Dinanzi a domande precise, compresa la scelta delle lettere dell'alfabeto ordinate secondo un'apposita sequenza, potrà dire “sì” battendo una volta le ciglia oppure “no” battendole due volte. Con questo metodo riuscirà a dettare un libro che uscirà in Francia nel 1997 con il titolo che ora ha il film.
Julian Schnabel ha assunto sulle sue spalle un incarico gravoso perché è vero che i film che portano sullo schermo le vicende di portatori di gravi handicap (soprattutto se ispirate a storie realmente accadute) commuovono facilmente la grande platea. È però anche vero che, con una tematica in parte vicina a questa abbiamo avuto nel 2004 lo splendido Mare dentro di Alejandro Amenàbar, con l'interpretazione da premio di Javier Bardem: la fatica di Mathieu Amalric poteva, pertanto, risultare improba, ma sia l'attore che il regista conseguono il risultato di offrirci una prova di grande umanità nel contesto di un film di elevato livello artistico. L'occhio del protagonista diventa la soglia che permette al pesante e inerte scafandro del suo corpo di liberare, anche se faticosamente, la farfalla del pensiero. La voce interiore imprigionata di Jean-Dominique ci rivela al contempo l'orrore della condizione e l'indomabile spinta all'espressione di sé. Il giornalista pensa, desidera, soffre, grida dentro di sé. È un grido in cerca di una bocca che possa tradurlo in suoni e parole. Il battito delle ciglia (che ricorda non a caso il battito d'ali di una farfalla) si traduce in lettere e le lettere in parole. Schnabel e Amalric riescono a non fare retorica e, al contempo, a commuovere profondamente liberandosi dal falso pietismo che spesso accompagna queste storie vere. Raggiungono il risultato grazie a un attento lavoro di flashback che si integra alla perfezione con la descrizione di un corpo che si è trasformato in sepolcro. Tutto ciò senza lanciare proclami né a difesa strenua della vita né a favore dell'eutanasia.
Il dramma della condizione del malato non viene riprodotto con il tono lacrimevole che spesso caratterizza questo tipo di filmografia: Schnabel, attraverso i battiti delle ciglia di Bauby, dimostra che c’è una via di fuga anche per una prigionia dalla quale apparentemente non esiste evasione. E’ qui che il film si riallaccia al tema fondamentale della comunicazione: Jean-Dominique trova un nuovo scopo per la sua vita decidendo di raccontare la propria esperienza, ripercorrendo le sue giornate, ricordando il passato, riflettendo sul suo futuro. Attraverso la palpebra sinistra, unico legame con il mondo esterno, l’uomo si dedica alla scrittura del suo romanzo, portata avanti grazie alla sua capacità mnemonica, alla sua forza d’animo e alla pazienza della donna che trascrive lettera dopo lettera i suoi pensieri. Schnabel si discosta dal punto di vista del suo magistrale protagonista solo quando ripercorre insieme a lui il filo dei suoi ricordi, come Dedalo che tenta di allontanarsi dal labirinto con le sue ali artificiali: così Bauby abbandona le luminose stanze della clinica dove è ricoverato e vola lontano con la sua fantasia, rievocando le immagini di quel passato pieno di soddisfazioni e tenerezza dal quale ormai si è dovuto drasticamente allontanare. Il viaggio nei ricordi di Jean-Dominique si trasforma in un’esperienza che completa un percorso interiore emotivamente profondo, che cinge il personaggio della sicurezza necessaria per permettergli di affrontare il difficile presente. Schnabel ci guida attraverso viaggi in auto con il vento fra i capelli, placide chiacchierate con un padre anziano ormai indebolito dalla vecchiaia; ci porta sulle note di Ultra-violet fra le strade di una Lourdes notturna che sembra una Las Vegas della religione Lo scafandro e la farfalla non estorce lacrime a nessuno. Con un racconto fluido, il film è una radiografia del sentimento: si sfiora l’emozione più pura e la si stempera con la dissacrante ironia di chi ha sempre vissuto mordendo ogni singolo istante di vita e con ha alcuna intenzione di mettere in pensione la propria forza di volontà.
Titolo originale: Le scaphandre et le papillon. Soggetto: dal romanzo omonimo di Jean-Dominique Bauby. Sceneggiatura: Ronald Harwood. Fotografia: Janusz Kaminski. Montaggio: Juliette Welfing. Musica: Paul Cantelon. Scenografia: Michael Eric, Laurent Ott. Costumi: Olivier Bériot. Interpreti: Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Jean-Pierre Cassel, Marie-Josée Croze, Hiam Abbass. Produttori : Kathleen Kennedy, Jon Kilig. Distribuzione: BIM. Origine: Francia /U.S.A..