Jerry e Mike sono amici dall'infanzia. Jerry è il meccanico della zona. Vive in un camper e teme le radiazioni che provengono, secondo lui, dalla centrale elettrica vicina. Mike lavora in un negozio che noleggia videocassette di proprietà del signor Fletcher. Questi, un giorno, decide di partire per un viaggio e affida il negozio a Mike invitandolo a tenere Jerry, decisamente esuberante, alla larga. Mike comprende in ritardo l'avvertimento e intanto Jerry ha fatto il danno: avendo tentato di entrare nella centrale ha finito con l'essere così caricato di energia da smagnetizzare tutte le videocassette. Che fare? Una soluzione c'è. I due girano amatorialmente versioni short dei blockbuster del cinema. I film, una volta noleggiati, piacciono e la richiesta si fa sempre più pressante. Ma c'è un altro problema che incombe: una società immobiliare vuole abbattere l'edificio.
E’ un atto d’amore per il “fare cinema” l’ultimo film di Michel Gondry: non tanto per il cinema in sé, quanto per il processo di creazione di un’opera cinematografica, quel momento in cui l’immaginazione deve concretizzarsi nei fatti e trovare soluzioni sempre nuove, rinnovando e adattando costantemente la propria sensibilità. Perché creare con le mani, con materiali di scarto o con qualunque cosa capiti a disposizione resta il fulcro della poetica di un autore che, dopo due film splendidi e splendidamente intimisti (Eternal Sunshine of a spotless mind e L’arte del sogno), sembra allargare il suo sguardo alla storia recente e passata dello stesso mezzo con cui si esprime. Be Kind Rewind diventa così un omaggio insieme appassionato e sarcastico ai capolavori del cinema e ai blockbuster pieni di frasi fatte, attraverso un’operazione di remake artigianale che li riduce alle componenti essenziali, ne svela l’artificiosità o il valore, ne celebra il fascino fanciullesco e il seducente magnetismo che esercitano sull’immaginario collettivo. Non v’è dubbio che Gondry lavori proprio su questa dimensione condivisa: noi spettatori proviamo piacere e soddisfazione nel riconoscere le sequenze celebri di King Kong o Ghostbusters replicate in economia di mezzi, mentre i protagonisti provano piacere a interpretarle e a reinventarle ovvero, ad abbandonare le vesti di pubblico passivo per assumere lo status di autori.
E allora può succedere che in un quartiere dimenticato dal mondo, in una città in cui Hollywood non passerebbe neppure per sbaglio, un’intera comunità si riscopra unita e solidale nel buio di una sala improvvisata, quando si raggiunge l’apoteosi, e forse anche la conclusione, della straordinaria esperienza di creazione collettiva, giacché ai film “fasulli” partecipano proprio tutti. Un istante colmo di dolcezza e di ambiguità che non vuole chiudere il cerchio né offrire soluzioni pronte all’uso, come d’altra parte già accadeva ne L’arte del sogno, ma cambia volto a una storia giocata in prevalenza sui toni irresistibili della commedia demenzial/surreale. La fantasia di Michel Gondry stavolta è declinata in forme diverse dal passato, forse meno poetiche, ma altrettanto sorprendenti: da vedere.
Sceneggiatura: Michel Gondry. Soggetto: Michel Gondry. Scenografia: Dan Leigh. Costumi: Rahel Afiley e Kishu Chand. Musiche: Jean-Michel Bernard. Fotografia: Ellen Kuras. Montaggio: Jeff Buchanan Ayers. Interpreti: Jack Black, Mos Def, Danny Glover, Mia Farrow, Sigourney Weaver. Produttore: Julie Fong e Raffi Adlan. Distribuzione: BIM. Origine: U.S.A., 2008