FESTIVAL DI VENEZIA 2008: COPPA VOLPI PER IL MIGLIOR ATTORE A SILVIO ORLANDO
Bologna 1938. Michele Casali si trova a vivere una situazione disperata: Giovanna, la sua unica figlia, ancora adolescente, ha ucciso per gelosia la sua compagna di banco, nonché sua migliore amica. Nell'ambiente borghese in cui il delitto è avvenuto la vicenda provoca forte emozione ed incredulità. Evitando il carcere, la ragazza viene ritenuta non sana di mente e rinchiusa in un ospedale psichiatrico a Reggio Emilia dove rimarrà fino all'età di ventiquattro anni. Durante questo periodo di quasi totale isolamento, l'unica persona che si occupa di lei è il padre, che si trasferisce appositamente a Reggio da Bologna.
Quando Pupi Avati scrive una sceneggiatura, e, puntualmente, la rappresenta in immagini, lo fa sempre con quella meticolosità e sensibilità, che ormai ce l’hanno fatto conoscere e amare.
Anche Il papà di Giovanna, pellicola presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2008, appare fin da subito come un’opera sublime, per intensità narrativa e coinvolgimento emozionale. Una storia drammatica, in un periodo storico altrettanto tormentato come quello della Seconda Guerra Mondiale, ed, in particolare, nella Bologna del 1938, che vede protagonisti un padre, professore di liceo, onesto, ma sopraffatto dagli eventi, e una figlia timida e introversa. Accusata dell’omicidio della migliore amica e rinchiusa in un manicomio, Giovanna, se da una parte trova il muro di silenzio e di indifferenza da parte della madre, dall’altra guarda al padre come l’unico, vero appiglio di speranza.
Pupi Avati, quasi in punta di piedi, costruisce un racconto silenzioso, ma che, nello stesso tempo, appare logorante e inquieto, mentre le note del fido Riz Ortolani ci conducono in una sfera intimistica, che va a toccare le corde più profonde del rapporto padre/figlia.
La disabilità mentale vista non come divisione, ma, anzi, come commovente legame, è il cardine di questa storia d’amore, un sentimento che il regista conosce bene, e che, da tempo, esplora con successo. Silvio Orlando, che con Avati non aveva mai lavorato, sembra esserne uno degli attori feticcio più importanti. Un’interpretazione sincera la sua: umile, mimica, vincente, che si fa amare. Alba Rohrwacher, poi, ha quella fragilità dirompente e stupefacente, che impressiona lo spettatore. Una grazia recitativa costruita senza virtuosismi di sorta e che, attraverso un introspezione e una padronanza del ruolo, la consacrano, dopo Giorni e Nuvole di Soldini (un David di Donatello come miglior attrice non protagonista), come uno dei volti più intensi e interessanti del cinema italiano degli ultimi tempi. Ma è un lavoro corale, di un cast semplicemente perfetto:
da una Francesca Neri, forse in uno dei suoi ruoli più "brutali", di madre (in)sensibile, fino ad Ezio Greggio, nel suo primo ruolo drammatico, e che, in maniera molto semplice, riesce a ritagliarsi lo spazio giusto, senza la presunzione di chi protagonista già lo è in televisione.
Rimane, infine, il tocco, neanche troppo nascosto di Pupi Avati, a far sì che tutto sia così profondamente armonico. La sua cura e ricerca nei dettagli e l’attenzione con la quale protegge e aiuta i suoi attori sono quegli ingredienti in più, che confermano l’abilità descrittiva alla quale, oggi, è impossibile non rivolgere ammirazione.
Sceneggiatura: Pupi Avati. Scenografia: Giuliano Pannuti. Costumi: Mario Carlini e Francesco Crivellini. Musiche: Riz Ortolani. Fotografia: Pasquale Rachini. Montaggio: Amedeo Salfa. Interpreti: Silvio Orlando, Francesca Neri, Alba Rohrwacher, Ezio Greggio, Serena Grandi. Produttore: Antonio Avati. Distribuzione: MEDUSA. Origine: Italia, 2008.