Quaranta giorni al fronte, in Iraq, di una squadra di artificieri dell'esercito statunitense, unità speciale con elevatissimo tasso di mortalità. Quando tutto quel che resta del suo predecessore finisce in una "cassetta del dolore", pronta al rimpatrio, a capo della EOD (unità per la dismissione di esplosivi) arriva il biondo William James, un uomo che ha disinnescato un numero incredibile di bombe e sembra non conoscere la paura della morte. Uno che non conta i giorni, un volontario che ha scelto quel lavoro e da esso si è lasciato assorbire fino al punto di non ritorno.
A distanza di sei anni da K-19, Kathryn Bigelow torna a parlare di guerra e di dipendenza, del confine - già più volte esplorato - tra coraggio e alienazione. Il racconto procede dritto e ansiogeno, come la camminata dell'artificiere dentro la tuta, vera e propria passeggiata sulla luna di un dead man walking; ci sono i crismi del genere, dal soldato che ha paura alle scazzottate alcoliche, ma si tratta di momenti ridotti all'osso; c'è, invece, l'eroe, un Davide che affronta il Golia dell'esplosivo a mani nude e del quale siamo portati a pensare che non abbia più niente da perdere, pur essendo vero il contrario. La Bigelow si è mossa, negli anni, fuori e dentro da Hollywood, ma a nulla varrà cercare in The Hurt Locker la denuncia estrema di Redacted, la messa in discussione di ciò che guardiamo, (non) sappiamo e permettiamo: l'immagine che la regista restituisce dell'Iraq non è nuova ed è certamente parziale, ma non è questo il punto. Quel che conta, è il deserto dell'anima, il buio della guerra che s'avvicina e attira a sé un uomo intelligente (in grado di capire in pochi secondi il nemico che ha di fronte o il tipo di bomba) così come il fuoco attira una falena.
Gestendo il ritmo in modo straordinario, perché del ritmo (delle onde, del cervello, dell'azione) ha fatto da sempre l'oggetto della sua riflessione cinematografica, Kathryn Bigelow ha girato un film potente. Affidandosi alle cronache del reporter Mark Boal, ha elaborato e raccontato un danno apparentemente collaterale, ma, in realtà, sostanziale, entrando, come mai prima d’ora, nella questione di genere (il maschile). Chi dice che l'autrice è una donna che fa film da uomini, infatti, non dice tutto. In The Hurt Locker c'è un unico personaggio femminile, che occupa un numero insignificante di fotogrammi e una sola battuta del dialogo, eppure, ne intuiamo subito la libertà, compresa la libera scelta di essere fedele ad un uomo che non c'è e che non glielo chiede. Lo stesso uomo che ci viene mostrato, al contrario, schiavo del pericolo, dell'emozione a tutti i costi, di quell'immenso contenitore di alibi che è la guerra. Perché, per dirla in perfetto stile hollywoodiano, morire è facile, è vivere che è difficile.
Sceneggiatura: Mark Boal. Scenografie: Karl Jlsusson. Costumi: George Little. Musiche: Marco Beltrami e Buck Sanders. Fotografia: Barry Ackroyd. Montaggio: Bob Murawsky. Interpreti: Ralph Fiennes, Guy Pearce, David Morse, Jeremy Renner, Christian Camargo. Produttori: Kathryn Bigelow, Mark Boal, Nicolas Charter e Greg Shapiro. Distribuzione: Warner Bros Pictures. Origine: U.S.A., 2008