"Sono nato in circostanze particolari": così inizia Il curioso caso di Benjamin Button, adattato da un racconto degli anni '20 di Francis Scott Fitzgerald su un uomo che nasce ottantenne e la cui età scorre al contrario. Un uomo come tutti noi, incapace di fermare il tempo. Da New Orleans alla fine della Prima Guerra mondiale nel 1918, fino al XXI secolo, in un percorso insolito come può essere la vita di ognuno. Il film è lo straordinario racconto di un uomo non così comune e delle persone e dei luoghi che scopre lungo il suo percorso di vita: gli amori che trova e che perde, le gioie della vita e la tristezza della morte e quello che resta oltre il tempo.
Si potrebbe dire che ogni film parli di vita e, di certo, non si sbaglierebbe: la storia di una persona è il percorso di un singolo uomo, ma anche, al contempo, l’unione di tanti eventi, emozioni e ragionamenti che tanti avranno provato, magari non esattamente uguali, ma simili. Qui, però, il discorso è alla radice: non si parla di semplici punti in comune o di possibili interpretazioni, perchè la storia di Benjamin Button, inventata da Francis Scott Fitzgerald, è emblema delle esistenze di tutti e si preoccupa di prenderne l’aspetto cruciale: l’approccio alla vita. Benjamin Button nasce vecchio e, crescendo, ringiovanisce.
Potrebbe essere un freak, un uomo marchiato dalla diversità e costretto a rimanere ai margini, a nascondersi dall’occhio altrui, ma vive tranquillamente il suo essere differente, conscio che niente gli verrà precluso, né l’amore, né l’amicizia, né l’avventura. Non si impegna a superare i limiti o ad abbattere gli ostacoli che il suo ringiovanimento porta di volta in volta, perché vive in pace con sé stesso. Non ci sono barriere, se non le si vuole vedere. Benjamin Button diventa, così, forza motrice delle sfide che le persone incontrate nel suo percorso di vita avevano preferito abbandonare, una sorta di angelo che non ha bisogno di parole per illuminare gli altri, ma a cui basta esserci per dimostrare da dove nasce la felicità. In tal senso, è perfetta la scelta di Brad Pitt: molto bravo, ma anche dotato della bellezza necessaria per esprimere la forza del personaggio.
David Fincher, reduce dallo splendido e inquietante Zodiac, segue (quasi senza volersi far notare) la sceneggiatura magistralmente scritta da Eric Roth, ma il suo è uno straordinario occhio "invisibile". La crescita di un amore fatto di affinità elettive, come quello tra Benjamin e Daisy, è costruito con abili giochi di luce, con inquadrature assai intime e mai invasive o ambigue. L’incedere, ora lento, ora veloce, dello scorrere del tempo, che in Zodiac si sintetizzava nella splendida sequenza della costruzione dei grattacieli, qui diventa cuore pulsante di tutta l’opera. Non è solo lo straordinario trucco sul viso di Brad Pitt (per il quale è stato utilizzato un innovativo sistema di motion capture), ma tutto il film trasuda la volontà di ragionare sul rapporto tra cinema e cronologia, a partire dalla ricostruzione dell’incidente di Daisy. La fotografia seppiata, che rende polverosi i ricordi, non è che una scelta fatta in tal senso: non è il cinema che fu, ma un cinema che è ancora in essere, un cinema fatto di immagini curate, di emozioni suggerite e voglia di scavare dentro ognuno di noi.
Tratto da un racconto di Francis Scott Fitzgerald. Soggetto: Eric Roth e Robin Swicord. Sceneggiatura: Eric Roth. Scenografia: Donald Graham Burt. Costumi: Jacqueline West. Musiche: Alexandre Desplat. Fotografia: Claudio Miranda. Montaggio: Kirk Baxter e Angus Wall. Interpreti: Brad Pitt, Cate Blanchett, Tilda Swinton e Julia Ormond. Produttori: Kathleen Kennedy, Frank Marshall e Cean Chaffin. Distribuzione: Warner Bros. Origine: U.S.A., 2008.