Un veterano della guerra in Korea, Walt Kowalski, vive in un quartiere popolato proprio dai koreani. Il suo carattere difficile lo ha portato ad allontanarsi dai suoi famigliari ed ora che nel suo quartiere si sta scatenando una guerra tra bande rivali, si ritrova sempre più solo. Quando, però, le schermaglie arrivano ad interessare il suo vicino di casa, nonostante questi cerchi di rubargli la sua Ford Gran Torino del 1972 custodita gelosamente in garage, Kowalski, interviene in sua difesa, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Per questo gesto l'uomo viene considerato un eroe e, per ringraziarlo, i suoi vicini cercano di aiutarlo a ritrovare l'armonia con i suoi familiari.
Clint Eastwood non sbaglia un film da parecchio tempo, in particolare da Mystic River, cui hanno fatto seguito ben cinque film (segno di una notevole prolificità) caratterizzati da storie drammatiche che hanno lo scopo di mettere in risalto i lati più profondi ed oscuri dell’animo umano, esponendo efficacemente un messaggio di grande forza morale. Ed è quello che accade anche in Gran Torino, forse in modo ancora più preponderante di quanto non sia accaduto nelle precedenti opere. La macchina del titolo è un modello sportivo prodotto dalla Ford nei primi anni ’70 che il protagonista tiene gelosamente dentro il suo garage da più di trent’anni senza mai usarla, ma curandola in ogni dettaglio. L’auto è, a tutti gli effetti, l’alter ego di Walt con il quale condivide l’esistenza. Anziani e fuori mercato, vivono entrambi in solitudine: Walt, dopo la morte della moglie, si concede al massimo una bevuta al bar e trascorre i suoi pomeriggi sulla veranda assieme alla vecchia cagnetta a stappare lattine di birra (da manuale l’inquadratura di spalle del vecchio con il cane e l’auto sullo sfondo). Entrambi vivono in un forzato esilio fatto di brusche risposte ai vicini e di pessimi rapporti con i figli: il mondo per Walt è solo un catino colmo di "topi di fogna" da criticare. Questo triste equilibrio fatto di sigarette fumate come caramelle e prati tagliati con la meticolosità di un certosino viene improvvisamente, ma forse inevitabilmente, infranto dal mondo che ruota intorno e che, come una marea, neanche l’arcigno carattere di Walt riesce ad arrestare. Girato a Detroit, dove un coacervo di razze (messicani, asiatici e le vecchie generazioni di emigranti come italiani, irlandesi e polacchi) si unisce e si combatte, con Gran Torino, scritto da Dave Johannson e Nick Schenk, il regista e attore americano torna alle tematiche della colpa, del perdono e dell’espiazione, disegnando il conflitto tra la morale religiosa ed una concezione del mondo più pragmatica, contrassegnata da chi ha combattuto una guerra con la convinzione di essere stato dalla parte giusta. Fornendoci uno dei finali più belli e struggenti degli ultimi anni, che sembra concepito dai versetti del Vangelo, Eastwood legge, esaltandone le peculiarità, la sceneggiatura equilibrata che fa di Walt il perno centrale della narrazione. Un personaggio che, se da una parte sputa battute come un cowboy di Sam Peckinpack, dall’altra è l’incarnazione dell’"homo faber" americano, uno che "con il cacciavite in mano fa miracoli". Ed è probabilmente questa estrema concretezza che lo condurrà all’ultimo capitale sacrificio grazie al quale consentirà un futuro a chi ha dato senso ad una vita vissuta nel rimorso di qualcosa di irraccontabile.
Soggetto: Dave Johannson e Nick Shenk. Sceneggiatura: Nick Schenk. Scenografia: James J. Murakami. Musica: Kyle Eastwwod e Michael Stevens. Fotografia: Tom Stern. Montaggio: Joel Cox. Interpreti: Clint Eastwood, Christopher Carley, Bee Vang, Ahney Her, Brian Haley e Geraldine Hughes. Produttori: Clint Eastwood, Rob Rt Lorenz e Bill Gerber. Distribuzione: Warner Bros. Origine: U.S.A., 2008.