Regia: Claude Lelouch. Sceneggiatura: Valérie Perrin, Claude Lelouch. Fotografia: Maxime Héraud. Montaggio: Stéphane Mazalaigue. Musiche: Ibrahim Maalouf. Scenografia: Natasha Lacroix. Costumi: Christel Birot. Interpreti: Kad Merad, Elsa Zylberstein, Michel Boujenah, Sandrine Bonnaire, Barbara Pravi, Françoise Fabian, Victor Meutelet, Clémentine Célarié, Paul Belmondo. Produttori: Victor Hadida, Claude Lelouch. Distribuzione: Europictures. Origine: Francia, 2024.
Lino è un uomo che sta girovagando nel Nord della Francia. A ogni persona che gli concede un passaggio racconta di sé e della propria vita una versione diversa. Scopriremo progressivamente quale sia il suo reale passato e cosa gli riservi il prossimo futuro. Claude Lelouch (classe 1937) si è spesso immedesimato nei suoi personaggi trasferendo in loro le proprie vittorie e le proprie sconfitte sia nel campo professionale che in quello ancor più ampio dei sentimenti. Ed è proprio della follia dei sentimenti di cui Lino (uno straordinario Kad Merad disponibile a qualsiasi variazione di tono, anche la più sottile) è portatore (in)sano in quanto desideroso di ritrovare in sé quelle vibrazioni e anche quelle profonde contraddizioni che ha rilevato, immedesimandosi, in coloro per i quali ha prestato la propria opera (che ci verrà rivelato quale sia).
Lino è di fatto Claude che nella vita ha sempre dichiarato di prediligere il lavoro del cuore a quello del cervello. Volendo alzare ulteriormente il livello si potrebbe affermare con Julio Cabrera che il suo nume tutelare sia stato quasi da sempre Schopenhauer con la sua visione del mondo come Volontà e Rappresentazione. Il lato meno razionale contrapposto a quello logico oppure la rappresentazione del versante oscuro dell'umanità rispetto a quello più aperto verso gli altri. Lelouch si trova da questo secondo lato della barricata anche quando propone dei drammi.
Se dovessimo pensare che da quando, nel 2019, abbiamo visto in Italia il suo I migliori anni della nostra vita sia rimasto inattivo ci sbaglieremmo. Nel frattempo ha girato altri due lungometraggi e un corto.
Come sempre (o quasi) con l'occhio attaccato dietro l'oculare della camera ("perché Van Gogh non cedeva il pennello ad altri") e con la partecipazione nei confronti degli attori a cui non fa leggere tutta la sceneggiatura ma che segue ovunque.
In questa occasione il titolo potrebbe far pensare ad un'opera intesa come ultima ma il senso che lui gli dà non è quello. È semmai quel senso di liberazione che la parola contiene, quel 'finalmente' potersi esprimere senza quei vincoli che la società impone o cerca di imporre.
C'è però indubbiamente il piacere del citarsi, del ricordare, magari inserendo in un dialogo un titolo di un suo film, che la follia dei sentimenti è un'affezione che ben conosce e di cui non si vuole affatto liberare. Così come vuole tenere vivo il ricordo non solo di un attore ma anche di un amico chiamando il suo protagonista Lino e omaggiando in più di un'occasione il Lino Ventura protagonista del memorabile L'avventura è l'avventura
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